A CATANIA due casi di epatocarcinomi tra i trattati

Cacopardo bnintervista a Bruno Cacopardo dell'ospedale Garibaldi Nesima di Catania

“A Catania due casi di epatocarcinomi dopo l'eradicazione dell'Epatite C. Vanno trattati quanto prima i pazienti con il fegato ancora in buono stato”.

Due delle 90 persone con cirrosi epatica trattate con le nuove terapie prive di interferone all’Ospedale Garibaldi Nesima di Catania, hanno sviluppato epatocarcinomi dopo essere state liberate dal virus. “Quando trattiamo un F4 – ovvero una persona in cirrosi - anche se gli eliminiamo il virus, non si neutralizza del tutto il rischio che la malattia degeneri”, afferma Bruno Cacopardo, direttore del reparto malattie infettive dell’azienda ospedaliera del capoluogo siciliano, che auspica che vengano trattate quanto prima le persone con fibrosi F2 (un livello di malattia del fegato più basso), attualmente escluse dall’accesso alle nuove cure: “Sono gli unici pazienti cui dopo l’eradicazione del virus potremo dire che hanno detto definitivamente addio all’Epatite C”. Tuttavia oggi a questi pazienti l’Aifa mette a disposizione solo i vecchi trattamenti con Interferone e molti effetti collaterali. Così questi pazienti preferiscono aspettare.

 

Quante persone con coinfezione da Hiv e Epatite C seguite?
Noi seguiamo circa 500 persone con Epatite C in vari stadi. Di queste poco meno di un centinaio, circa il 20% del totale, hanno anche l’Hiv.

Quante di queste persone oggi accedono alle nuove terapie?
Tutti quelli che rispondono ai criteri di accesso stabiliti da Aifa, ovvero che hanno un livello di fibrosi F3 o F4 o malattie extra-epatiche Hcv correlate. Complessivamente abbiamo avviato al trattamento circa 90 persone: da quando abbiamo iniziato nel febbraio-marzo 2015, circa 15-17 pazienti entrano in trattamento ogni mese. Stiamo finendo di trattare gli F4 poi procederemo con gli F3. Iniziamo dai più gravi perché è necessaria una gradualità nella messa in trattamento: non possiamo gestire 500 persone che assumono la cura tutte insieme. Fino a sei mesi dopo la terapia non si può dire con certezza che il virus è stato eliminato ma posso affermare che fino a questo momento abbiamo avuto un tasso di risposta positiva al trattamento in oltre il 90 per cento dei pazienti.

Come vengono curate le persone che non rientrano nei criteri Aifa?
A loro proponiamo il trattamento che prevede ancora l’uso dell’interferone con Ribavirina e Simeprevir quando hanno malattie extra-epatiche Hcv correlate. Tuttavia l’interferone, oltre a essere meno efficace, ha molti effetti collaterali: dà febbre, mal di testa, dolore alle ossa, depressione. Così la maggior parte delle persone preferisce attendere.

La terapia con interferone viene concessa a tutti perché meno costosa?
Il costo complessivo del trattamento, se si usa accanto all’interferone anche il Simprevir (uno dei nuovi farmaci antivirali diretti), è solo lievemente più basso.

Non sarebbe più conveniente trattare subito con i farmaci privi di interferone?
Io credo che in questo momento sia impensabile trattare le Epatiti C a tutti i livelli di fibrosi con i nuovi farmaci, perché, se le stime dell’entità di questa patologia sono reali, la spesa per l’acquisto di queste terapie sarebbe veramente formidabile. Però io gli F2 li tratterei. Perché sono quelli che guarirebbero del tutto con il trattamento. Perché quando trattiamo un F4, anche se gli eliminiamo il virus, non si neutralizza del tutto il rischio che la malattia degeneri, per esempio che compaia un epatocarcinoma. Se io tratto un cirrotico e gli tolgo completamente il virus, questa persona può comunque avere una malattia che avanza o che si complica con un cancro del fegato. Se io invece tratto un paziente non cirrotico, ovvero con una fibrosi meno avanzata come l’F2, se gli elimino il virus arresto completamente la malattia e annullo i rischi di complicanze a lungo termine. Quindi chi veramente può beneficiare in modo rilevante, in termini di guarigione dei nuovi trattamenti saranno non quelli con la fibrosi avanzata che noi stiamo trattando in questo momento, ma quelli che tratteremo in futuro, se i criteri di accesso dell’Aifa si allargheranno.

Ha avuto esperienza di persone con fibrosi F4 che nonostante l’eradicazione del virus hanno sviluppato complicanze?
Si. Di questi 90 che abbiamo trattato, un paio ha sviluppato un epatocarcinoma dopo essere stati liberati dal virus.

Ci sono pazienti con coinfezione Hiv Hcv e un livello di fibrosi inferiore a F3 che non accedono al trattamento ma le destano preoccupazione?
Sì e cercheremo di trattarli tutti. Le persone con coinfezione spesso sviluppano una malattia extraepatica - come la crioglobulinemia o linfomi – che consentono l’accesso al trattamento. La crioglobulinemia Hcv correlata è una manifestazione molto severa che spesso si complica provocando linfomi. Si tratta di manifestazioni non epatiche che consentono l’accesso al trattamento, perché il settimo dei criteri stabiliti da Aifa, quello che si è aggiunto in un secondo momento, prevede la possibilità in questi casi di trattare livelli di fibrosi più bassi. Nel coinfetto bloccare il virus significa bloccare quel patto cattivo tra virus in cui uno stimola l’altro.

Ci sono persone che non rientrano in questi criteri e chiedono di essere curate con farmaci generici indiani?
Mi è capitato solo nel caso di un monoinfetto che ha acquistato il farmaco indiano, ma nel frattempo lo abbiamo messo noi in trattamento. Ma se dovessi usare questi farmaci avrei bisogno di rassicurazioni sulla loro composizione. Perché se la concentrazione del principio attivo è più bassa di quella richiesta, questo può determinare sia l’inefficacia della terapia, sia delle resistenze da parte del virus, compromettendo future terapie.

Vede un problema di Epatite C o di Hiv in crescita?
Non per quanto riguarda l’Epatite C: le persone che oggi trattiamo per questa patologia hanno 45-50 anni e hanno contratto il virus negli anni ’70-’80. Invece per l’Hiv abbiamo dati allarmanti: in seguito alle campagne che abbiamo promosso per far eseguire il test dell’Hiv, negli ultimi due anni abbiamo trovato 90 nuovi casi. E’ un numero importante.

A MILANO aumenta l’uso dei farmaci generici esteri

ubertiIntervista a Caterina Uberti-Foppa, infettivologa dell'ospedale San Raffaele

Di 300 persone avviate al trattamento con i nuovi medicinali antivirali diretti nel polo ospedaliero milanese San Raffaele– uno dei principali centri di cura italiani, specializzato nell’uso di terapie sperimentali - ben 150 hanno una coinfezione da Hiv- Hcv. Ma la disponibilità delle terapie non soddisfa l’enorme domanda ed il numero di trattamenti concessa dalla Regione Lombardia è inferiore a quelli inizialmente richiesti dall’Ospedale. Così i pazienti hanno cominciato ad acquistare autonomamente farmaci generici chiedendo ai medici di seguirli nel trattamento. Un fenomeno in crescita perché, come afferma Caterina Uberti-Foppa, infettivologa, dirigente del reparto malattie infettive del San Raffaele, il Sofosbuvir generico viene talvolta utilizzato dai pazienti.

Dottoressa, può dirci se il numero di persone trattate nel 2015 corrisponde all'effettivo bisogno stimato dall'ospedale?


La prima stima di pazienti cui concedere le nuove terapie che avevamo stilato era di 400 persone. Ma la regione Lombardia ci ha successivamente chiesto una seconda stima basata su criteri più stretti. Siamo arrivati così a chiedere 300 trattamenti che poi sono stati quasi tutti concessi all’Istituto San Raffaele. Circa la metà dei pazienti trattati ha una coinfezione Hiv–Hcv. Questo perché il nostro centro è specializzato nella cura di pazienti Hiv positivi e circa il 30% ha l'Epatite C. Dall’ultima valutazione del nostro database sono risultati poco più di 1000 pazienti coinfetti Hiv-Hcv, il 10% dei quali aveva una patologia epatica avanzata inclusa nei criteri attuali di accesso ai farmaci e quindi sono stati trattati. Questo è quanto risulta dai dati forniti ad oggi dalla farmacia dell'ospedale, che fa il filtro tra la regione Lombardia che eroga i farmaci e il paziente.

Cosa è accaduto tra la prima e la seconda stima richieste dalla regione?
La regione ha motivato la seconda richiesta di stima affermando che il numero che inizialmente avevamo dato non era corretto, poiché riteneva che il numero globale dei trattamenti richiesti da tutti gli ospedali della regione fosse più alto di quello previsto.

Esistono sistemi di controllo in grado di garantire che questa valutazione sia stata fatta sulla base di statistiche precise?
Per quello che so io, assolutamente no. Ogni centro ha un suo dato in base al proprio database, esistono delle stime globali verosimilmente abbastanza realistiche, ma non mi risulta che ci sia un dato preciso.

Per quanto riguarda i pazienti con coinfezione Hiv Hcv che non hanno accesso ai nuovi farmaci in quanto non sufficientemente gravi, c’è il rischio che possano sviluppare patologie che in futuro non sarà possibile recuperare?

Il rischio che le persone con Hiv e Hcv possano sviluppare una progressione di
malattia più rapida rispetto ai pazienti monoinfetti è documentato. E comunque
trattare una persona con cirrosi, anche con i nuovi farmaci che sono molto efficaci, non è sempre facile, soprattutto per pazienti che hanno altre comorbidità e quindi più farmaci da assumere quotidianamente che rendono difficile la gestione della terapia. Ad esempio ho due pazienti con Hiv e Hcv che hanno avuto una progressione rapida di malattia epatica con complicanze extra-epatiche che hanno reso difficile la gestione ottimale dell'Epatite C. Il trattamento è stato fatto in condizioni sub-ottimali, tanto che l’infezione da Hcv ha recidivato al termine della terapia. Il trattamento non ha portato all'eradicazione della malattia virale, perché è stato concesso troppo tardi.

Nel corso del 2015, sono stati molti i pazienti che le hanno chiesto la terapia
ma che non ha potuto soddisfare?
Dopo che si è visto che molti pazienti anche gravi sono migliorati dopo il trattamento, ci sono state numerose richieste. Se all’inizio del 2015 venivano solo da cirrotici e situazioni gravi, dopo le richieste sono venute un po’ da tutti i pazienti.

Oltre al quadro clinico, ha notato un disagio psicologico dovuto alla negazione dell’accesso alla terapia?
Questo dipende dal paziente, ma anche dal dottore. Se i pazienti vengono
adeguatamente informati, rassicurandoli sul fatto che la loro condizione verrà valutata per tempo con accertamenti e terapie adeguate per evitare che si aggravino, nella mia esperienza i pazienti si affidano. Poi c’è una piccola parte con esperienze personali negative, che magari ha avuto il partner che è morto di cirrosi o altra situazione personale complessa, per cui diventa più difficile mantenere l’equilibrio. In ogni caso avere una malattia e non poter disporre della terapia adeguata procura certamente un disagio emotivo.

Si sta diffondendo l’idea di dover andare in India per potersi curare in tempo. Le sono capitati casi in cui i pazienti le hanno chiesto di seguirli con farmaci generici?
Assolutamente sì. Chi può ha già preso il farmaco in altri stati. Fino a qualche mese fa avevo solo pazienti che acquistavano i medicinali in farmacie del Vaticano a prezzi di mercato, mentre attualmente la richiesta di essere trattati con farmaci generici provenienti da Paesi che non hanno obblighi di rispetto del brevetto – e quindi possono produrre a prezzi molto più bassi - è sempre più frequente. Resta il fatto che la maggioranza dei pazienti che seguo vengono trattati con farmaci forniti dal servizio sanitario nazionale.

Lei può seguire nell’assunzione del medicinale anche persone che lo
acquistano autonomamente?
Certamente e non credo che sia eticamente possibile non garantirlo, il codice di
deontologia medico impone al medico di curare il malato al fine della tutela della vita e della salute psico-fisica.

Dalla sua esperienza il contagio da Hcv è oggi stabile o aumento?
Se la sua domanda si riferisce esclusivamente all’Epatite acuta C possiamo dire che il dato è sostanzialmente stabile dal 2009 tra 0,2 e 0,3 casi ogni 100.000 abitanti (dati del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute). Non così si può dire delle popolazioni maggiormente esposte al rischio Hiv: essendo il nostro un centro focalizzato proprio sulla popolazione Hiv positiva abbiamo potuto rilevare un incremento di epatite acuta Hcv in pazienti omosessuali, ma non ho un dato certo. Di sicuro l’aumento dell’epatite acuta C in soggetti omosessuali Hiv positivi è stato descritto in molti studi. Solo negli ultimi due mesi abbiamo visto ben tre casi di Epatite acuta C in soggetti omosessuali che stiamo seguendo.

Si può individuare un fenomeno di re-infezione da Epatite C, cioè persone che dopo aver beneficiato della costosa terapia si sono nuovamente ammalate?
Casi di reinfezione virale dopo aver beneficiato della terapia anti-Hcv ci sono
sicuramente, da qualche anno anche a Milano, è un dato abbastanza noto. Se ne parla ma non ci sono, che mi risulti, studi approfonditi a riguardo. Nel nostro ospedale abbiamo forse un caso di reinfezione dopo la terapia. Un paziente omosessuale che aveva quasi finito il nuovo trattamento si è ripositivizzato con un genotipo diverso di Hcv. Il fattore di rischio ci permette di ipotizzare una reinfezione, ma dal punto di vista virologico non posso darle certezze. Naturalmente indagare questo fenomeno significa aprire scenari molto complessi, che implicano considerazioni di tipo clinico ed etico, un po’ come quelli della profilassi pre-esposizione.

Dalle sue analisi risulta chiaro come sia enormemente complesso avere una conta statistica precisa ed affidabile: cosa riterrebbe utile attivare per avere un’idea più chiara dei fenomeni e delle necessità in campo di politico?
Sicuramente la cosa che ci lascia sempre perplessi è la problematica del “sommerso”. Oggi abbiamo a disposizione una terapia altamente efficace e sicura, e nonostante questo vediamo morire persone con cirrosi perché arrivano a una diagnosi molto tardi. E’ un fatto molto difficile da accettare.
Quindi bisognerebbe cercare delle strade per far emergere il sommerso. Una strada, già tentata in alcune esperienze, è fare un lavoro con i medici di base. Usare in maniera continua e capillare i test rapidi, così come è necessario per l’Hiv. Per le persone con Hiv, la cosa di cui avremmo certamente bisogno è di avere meno restrizioni nella possibilità di trattare le persone con coinfezione Hcv, allargando i criteri per accedere ai nuovi trattamenti, perché è certo che ne avrebbero un beneficio importante.

A ROMA molte nuove infezioni da hcv tra giovani omosessuali maschi

Ammassari1 bnIntervista ad Adriana Ammassari infettivologa dell'ospedale Lazzaro Spallanzani


Ben 1600 tra le circa 5500 persone con infezione da Hiv seguite dall'Istituto Nazionale Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani di Roma hanno anche l'Epatite C e un terzo di queste presentano un’infezione con virus attivo. Ad oggi, poco più di un centinaio tra questi hanno avuto accesso alle nuove terapie antivirali ad azione diretta capaci di sconfiggere il virus. Adriana Ammassari, infettivologa dell'ospedale che dal 1980 è uno dei principali centri italiani per la cura e la ricerca sull’Aids evidenzia come la maggior parte delle persone con coinfezione oggi escluse dall'accesso alle nuove terapie sono Msm (Maschi che fanno Sesso con Maschi) con infezione relativamente recente: “Per loro c'è da considerare un rischio rilevante di infezione e re-infezione, anche dopo la cura, e spesso il virus viene trasmesso anche attraverso strumenti contaminati usati per assumere sostanze per via inalatoria. C’è quindi un rischio anche se i rapporti sessuali sono protetti”.
 
Qual'è l'entità della coinfezione Hiv-Hcv allo Spallanzani?
Dei circa 5500 pazienti con Hiv che seguiamo, circa il 30% è coinfetto con Epatite C. Ma non tutte queste 1600 persone hanno una malattia epatica replicante, ovvero alcuni sono guariti dall’infezione spontaneamente oppure con le terapie disponibili fino ad ora e non hanno bisogno di essere trattati. Al momento stimiamo che circa il 10% di soggetti necessitino di un trattamento con i nuovi farmaci antivirali diretti. 

 

In quanti hanno iniziato i nuovi trattamenti?
Al day service da fine febbraio scorso sono state avviate al trattamento circa 110 persone con coinfezione Hiv-Hcv e tra quelle ammesse da Aifa ai trattamenti sono state trattate circa un terzo dei soggetti con indicazione alla terapia. Abbiamo iniziato con i cirrotici più gravi, ovvero quelli con fibrosi del fegato F4, poi ora stiamo trattando quelli subito meno gravi (F3). Si tratta spesso di pazienti difficilissimi visto l’elevato numero di co-morbilità cardiologica, pneumologica e psichiatrica, ma grazie al fatto che i pazienti avevano già una forte relazione terapeutica con il personale medico-infermieristico dell'ospedale, i risultati sono stati eccellenti. Infatti, abbiamo osservato solo l’9% di fallimenti. 

 

Quali sono stati i risultati?
Per noi medici e infermieri è straordinario poter usare questi farmaci, davvero emozionante. La cirrosi è una vera via crucis: lenta, disarmante e piena di ricoveri. Aver trovato una terapia efficace e ben tollerata – quasi una "bacchetta magica” - per guarire questa infezione di fronte alla quale siamo stati per anni così impotenti, è incredibile. Anche se ancora non sappiamo in quante di queste persone, a cui abbiamo guarito l’infezione da Hcv, si è fermerà la malattia del fegato e quindi saranno preservate dal tumore di fegato in futuro. L’evoluzione clinica della malattia di fegato nei soggetti guariti dall’infezione, è una storia tutta da scrivere.

 

Qual'è l'impatto dell'esclusione di molti dalle nuove cure?
A Roma vediamo che quasi tutte le infezioni da Hcv acute e nuove vengono diagnosticate tra giovani omosessuali maschi. Sono principalmente loro le persone con coinfezione Hiv/Hcv e fibrosi del fegato meno pronunciata (F2) oggi escluse dalle cure secondo i criteri Aifa. Generalmente, dopo aver metabolizzato la diagnosi di infezione da Hiv, queste persone sono particolarmente scosse dall'aver acquisito anche l'epatite C, un'altra patologia molto impegnativa che non si aspettavano e che li riporta al concetto di non essere stati capaci di proteggersi. Dobbiamo comunque considerare che questa popolazione ha generalmente uno stile di vita più a rischio, dovuto all'elevato numero di partner sessuali e all'uso sostanze per via inalatoria durante gli incontri: è infatti anche questo un modo con cui viene trasmesso il virus se il rapporti sessuali sono stati protetti. 
L’elevata diffusione dell'infezione in questi gruppi a rischio c'è e va affrontata, possibilmente estendendo i criteri per l’accesso alla cura eradicante. Ma se viene offerto il trattamento e dopo ci si reinfetta, si pone un altro problema serio cui fare fronte. Abbiamo curato una persona investendo molti soldi, senza essere riusciti a trasmettere le informazioni necessarie per la prevenzione dell’infezione. La cura da sola senza programmi di prevenzione e educazione alla salute non sarà mai un intervento sufficiente per l’eradicazione dell’infezione da Hcv.
 
Quali sono le prospettive della cura?
Dopo aver trattato i più gravi – quelli con fibrosi F3 e F4 come previsto dall'Aifa - credo che non si possa rifiutare alle altre persone un trattamento risolutivo del loro problema. Noi oggi ci troviamo in difficoltà perché i pazienti ci dicono: “Io vado in India o Egitto”, dove è possibile acquistare farmaci anti Hcv generici a prezzi davvero competitivi. 
 
Come vi comportate quando le persone dicono di volersi curare con farmaci generici?
Ci troviamo in difficoltà: la prescrizione di questi farmaci è vietata perché non essendo testati secondo le norme vigenti in Europa non sono inseriti nel prontuario nazionale, e d’altro canto è capitato che il paziente abbia dichiarato di assumere già i farmaci di propria iniziativa. In questi casi informiamo il paziente dei rischi a cui si espone, che includono l’inefficacia del prodotto e il rischio effetti collaterali eventualmente anche severe, ma non possiamo rifiutarci di assistere queste persone. Comprensibilmente i pazienti cercano la cura, ma la sicurezza e tollerabilità dei trattamenti è ancor più importante considerato che si tratta di soggetti con fibrosi epatica meno avanzata. I farmaci acquistati in Egitto presentano confezioni con scritte incomprensibili esclusivamente in arabo e anche laddove il prodotto è descritto in inglese bisogna temere che le pillole non contengano il principio attivo nella qualità necessaria o alle concentrazioni sufficienti. 

 

Ci sono stati casi di effetti collaterali tra le persone che prendono i generici di Egitto o India?
Io seguo solo un paio di persone. I trattamenti sono in corso e sembrano andare bene.

 

Non ci sono direttive su come trattare le persone che assumono questi farmaci?
Non ci sono state date indicazioni aggiuntive a quelle vigenti. Stando alle regole, il Servizio Sanitario Nazionale non prevede l’impiego di questi prodotti. Ma la cosa che rimane incomprensibile è la differenza di prezzo tra i farmaci acquistati nell’ambito del SSN e quelli generici.
In che modo questi pazienti riescono a scegliere la combinazione di farmaci giusti?
Anche all'estero, da quanto ne so io, per poter acquistare i farmaci anti Hcv è necessaria una prescrizione medica. Questo collega prima di prescrivere la terapia valuta gli esami portati in visione dal paziente.

 

Come si gestisce a livello amministrativo la somministrazione di questi farmaci?
Nella mia esperienza purtroppo l’Aifa e la Regione Lazio non si sono coordinati particolarmente comportando un enorme sovraccarico lavorativo nei medici prescrittori. Per iniziare è necessario compilare per ogni paziente candidato una scheda sul portale Aifa con molti dati clinici e virologici. Se i dati corrispondono ai criteri di eleggibilità Aifa, compare l'autorizzazione a prescrivere il trattamento. Poi, le stesse informazioni devono essere inserite nella scheda della Regione, su un altro portale. Con la scheda della Regione la farmacia di riferimento può erogare il trattamento che deve essere rinnovato mensilmente. Mi chiedo perchè l'Aifa non abbia predisposto un sistema coordinato con le regioni risparmiandoci questo doppio lavoro che ci ha davvero messo a dura prova considerato il lavoro routinario con le persone Hiv-positive e il fatto che i pazienti con Hiv- Hcv erano tutti già ai "blocchi di partenza". Comunque, nessuno di noi si è risparmiato visto che erano molti anni che sognavamo di avere una opportunità come questa per i nostri pazienti. 

A BOLOGNA percentuali di guarigioni più alte tra i coinfetti

Badia bn2Intervista a Lorenzo Badia, infettivologo dell'ospedale S. Orsola di Bologna


Il Policlinico universitario S. Orsola Malpighi è l'unica struttura sanitaria che a Bologna tratta le persone con coinfezione Hiv e Epatite C con i medicinali antivirali diretti anti Hcv. Secondo i dati raccolti nel 2015 sono state trattate circa 700 persone con Epatite C di cui 70 avevano anche l'Hiv. Tra le persone Hiv positive solo una non ha risposto positivamente al trattamento (0,7%) mentre il tasso di mancata guarigione con le nuove terapie tra i monoinfetti risulta molto superiore, attorno al 12%. Nella sostanza il 99,3% dei coinfetti trattati con i nuovi farmaci sono guariti, mentre le guarigioni dei monoinfetti si fermano all'88%. Lorenzo Badia, infettivologo del reparto malattie infettive dell'ospedale bolognese, evidenzia come alcuni dei pazienti più critici si sono aggravati dopo la terapia. Il S. Orsola offre un servizio per verificare l'affidabilità dei farmaci generici provenienti da Egitto o India: l’analisi del sangue del paziente per vedere se il principio attivo è in circolo. 

 

Quante sono le persone con Epatite C e Hiv seguite dal S. Orsola?
Come reparto malattie infettive seguiamo circa 5-600 persone con coinfezione Hiv e Hcv: rappresentano la metà delle 1200-1300 persone con Hiv che abbiamo in terapia. Questo anche perché siamo l'unico ospedale di Bologna in cui i coinfetti possono fare i nuovi trattamenti contro Epatite C. Proprio per la questione dell'assunzione del farmaco l'anno scorso c’è stato uno spostamento di persone con coinfezione dall'ospedale Maggiore verso l’ospedale S. Orsola. Complessivamente in tutti i reparti dell’ospedale S. Orsola sono in carico circa 3000 persone con Epatite C.

 

Quali sono stati i risultati dei nuovi trattamenti?
Nel 2015 in tutto l’ospedale, sono state trattate circa 700 persone con Epatite C di cui 70 con coinfezione Hiv Hcv. Tra le persone coinfette la risposta positiva al trattamento è stata molto alta (99,3,7%), in quanto solo in un caso non c'è stata la guarigione, mentre il tasso di guarigione tra i monoinfetti è risultato dell'88% circa. 

 

Vi sono stati casi di persone con una malattia epatica così avanzata da rispondere negativamente al trattamento?
E’ un tema ancora molto dibattuto, sia dal punto di vista scientifico che da quello relativo all’opportunità della cura. C’è la percezione, abbastanza diffusa in chi si occupa di fegato, che esista un livello di gravità della malattia oltre il quale anche se diamo la terapia, le probabilità che le funzioni del fegato riprendano sono molto poche, per non dire nulle. Dove sia questo punto di non ritorno, e quanto sia questa probabilità di non ritorno, 90, 95 o 100% questo ancora non è chiaro. Ma la percezione che non bisogna aspettare troppo, questa c’è ed è chiara. Noi abbiamo avuto due casi di pazienti cui il trattamento ha peggiorato la funzione epatica. Entrambi sono stati ricoverati, uno – coinfetto – poi è guarito, mentre l'altro è deceduto. Ancora non possiamo però dire se questo è sarebbe successo comunque - perché era la storia naturale della sua malattia - o se il trattamento in abbia acutizzato dei meccanismi infiammatori. Oggi l’orientamento è che questo tipo di paziente viene trattato se c’è un percorso di trapianto. Perché portarlo al trapianto senza il virus è un’enorme vantaggio. La speranza è comunque che con gli anni ne vedremo sempre di meno di questo tipo di pazienti, perché se i pazienti vengono trattati prima, non dovrebbero arrivare a questa fase. Vi sono stati poi altri pazienti gravi che hanno continuato la progressione della malattia nonostante la terapia e alcuni sono andati a trapianto. In generale, nella maggior parte dei pazienti più gravi, la terapia non cambia molto il loro decorso.

 

Cosa rispondete a persone che acquistano autonomamente farmaci indiani?
Ho parecchi pazienti che si stanno informando, però finora non abbiamo seguito nessuno con i farmaci generici. Quando i pazienti mi parlano di eventuale acquisto gli dico di farsi i conti, dipende da che sacrificio economico rappresenta per loro l’acquisto del farmaco. Se il loro danno epatico è lieve non vale la pena fare un debito, ma non scoraggio di per sé questo acquisto. I farmaci indiani dovrebbero essere sicuri, soprattutto quelli prodotti direttamente dalla Gilead attraverso gli accordi con ditte locali. Ho più dubbi su chi si informa per acquistare su internet, anche se so che ci sono diversi siti in cui acquistarli. Ad ogni modo se il paziente ha dei dubbi sul fatto che ci sia davvero il farmaco nelle compresse che sta prendendo, gli possiamo fare un prelievo per verificare che in circolo c’è il farmaco. Siamo attrezzati per offrire questo servizio, che finora facciamo per valutare come va la concentrazione del farmaco. Quindi sull’efficacia possiamo fare questo tipo di controllo. Sulla sicurezza speriamo che questi farmaci generici siano sicuri.

A MODENA tanti cirrotici ancora senza trattamento

Mussini bnIntervista a Cristina Mussini direttrice della struttura di malattie infettive dell'ospedale universitario di Modena

 "Secondo i dati della corte Icona sono state trattate con i nuovi farmaci solo il 40% delle persone con coinfezione e in cirrosi": Cristina Mussini, infettivologa, direttrice della struttura complessa di malattie infettive dell'azienda ospedaliero-universitaria di Modena, evidenzia come le nuove terapie contro l'Epatite C non siano ancora state somministrate a una fetta importante dei pazienti con la patologia avanzata. Su tutto la scure dell'attuale sistema di prescrizione di questi farmaci che, a causa dei numerosi adempimenti burocratici richiesti agli operatori sanitari, limita il numero di trattamenti avviati ogni anno.

 

Quali sono i risultati del primo anno di accesso ai nuovi trattamenti nella struttura da lei diretta? 

Nel 2015 nella nostra unità operativa di Malattie infettive sono stati seguiti 1590 pazienti con infezione da Hiv e di questi 389 con co-infezione da Epatite C. Tra i coinfetti il numero di pazienti trattati con i nuovi farmaci a partire dal novembre 2014 è stato complessivamente di 70 persone, di cui 40 hanno terminato la terapia e al momento solo uno di loro non ha avuto un esito positivo. I pazienti con la sola infezione da Hcv nel 2015 sono stati invece 290 e di questi 29 sono stati avviati a trattamento con i nuovi farmaci: di questi 15 hanno già terminato il trattamento e solo tre pazienti non hanno risposto positivamente. 

I pazienti trattati ad oggi sono tutti cirrotici - come da indicazione di Aifa che raccomanda di trattare prima i più gravi. A questi si aggiungono 16 pazienti non cirrotici con co-infezione Hiv-Hcv in lista trapianto entrati in un protocollo di uso compassionevole promosso dalla Simit. Oggi restano da trattare attualmente una cinquantina di persone con il livello più grave di cirrosi (F4) di cui circa una trentina sono coinfetti e 20 monoinfetti. Saranno avviati alla terapia entro l’anno. Quindi passeremo a trattare quelli con un livello di cirrosi del fegato più basso, gli F3.

 
Qual'è la principale urgenza rispetto ai nuovi farmaci?
Oggi il problema prioritario e' che ci sono tante persone in cirrosi che non hanno ancora avuto il trattamento. I dati di dello studio coorte Icona mostrano che circa il 40% di soggetti con una fibrosi superiore a 3 non è stato trattato. Inoltre c'è un problema di adempimenti burocratici richiesti da Aifa e dalla regione, che devono essere svolti direttamente dal personale sanitario per poter prescrivere i farmaci e ciò consuma molto del nostro tempo. Essendo rimasti immutati gli organici, i medici non riescono a trattare più di un certo numero di pazienti. 
 
Come si può intervenire?
Considerando che con questi nuovi farmaci abbiamo una percentuale di guarigione dall'Epatite C vicina al 100% non si può neanche espandere gli organici delle cliniche per una patologia che nel giro di 5-6 anni e andrà radicalmente diminuendo. E i fondi per dei farmaci eccessivamente costosi non possono essere aumentati ulteriormente curando tutti coloro che hanno fibrosi più basse - che sono la maggior parte dei pazienti - perché da un punto di vista etico sarebbe un problema. Non si può dire "tratto solo l'Epatite C e non tratto più il cancro". 
 
Capita che pazienti acquistino autonomamente farmaci generici prodotti in India e chiedano di essere seguiti da voi?
Una paziente co-infetta è appena tornata dall'India dove ha acquistato l'Harvoni generico. Noi non l'abbiamo prescritto, perché è contro la legge, ma non ci possiamo esimere dal seguirla, anche perché prende i farmaci antiretrovirali.

A CAGLIARI nessun trapianto ai pazienti coinfetti

Chessa bnIntervista a Luchino Chessa, infettivologo e epatologo dell’ospedale universitario di Cagliari

 

Sono circa 3000 le persone con Epatite C seguite dal Centro per lo Studio delle Malattie del Fegato, del Dipartimento di Medicina Interna diretta dal Prof. Paolo Emilio Manconi dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria di Cagliari, uno dei più importanti tra i dodici centri prescrittori dei nuovi farmaci antivirali diretti in Sardegna. Vi lavorano quattro medici: tre ospedalieri e il professor Luchino Chessa, docente al Dipartimento di Scienze Mediche dell’Università di Cagliari, epatologo e infettivologo, oltre a sei medici specializzandi. Per Chessa l’arrivo degli antivirali diretti è “un cambio epocale” da estendere a più pazienti dando la priorità a persone con Hiv e Hcv.

Quando sono iniziati i trattamenti con i nuovi farmaci?
Dei 3000 pazienti con Epatite C che seguiamo presso il nostro centro non tutti ovviamente presentano malattia avanzata. Una parte, circa 500, ha già praticato terapia antivirali con i vecchi farmaci e circa il 60% ha avuto uno risposta virologica sostenuta. Dei rimanenti pazienti un terzo ha una malattia più grave, per cui fibrosi avanzata o cirrosi, e in 150 hanno iniziato la terapia con gli antivirali diretti da luglio 2015, mentre altri 150 la stanno iniziando a scaglioni. In Sardegna le terapie con i nuovi farmaci le abbiamo avviate un po’ in ritardo rispetto ad altre regioni per vari problemi burocratici, ma ora stiamo andando avanti bene, seguendo il criterio della priorità clinica e cioè curando prima i casi più gravi.

Quante delle persone oggi in cura hanno la coinfezione Hiv - Hcv?
Oltre ai 150 monoinfetti che hanno iniziato le nuove terapie, stiamo trattando 20 pazienti con coinfezione Hiv-Hcv e altrettanti stanno entrando in terapia. Ma ve ne sono oltre una trentina che in questo momento non possono essere trattati perché hanno fibrosi non avanzata. Stiamo aspettando che si sblocchi la situazione e anche loro possano avere accesso al trattamento. Intanto, a livello regionale, stiamo avviando un database per registrare i pazienti con coinfezione che stiamo trattando, un lavoro collaborativo tra noi e i due centri infettivologici di Cagliari e Sassari.

Come vengono curate le persone che non hanno accesso ai nuovi farmaci?
Attualmente attendono. Nessuno di loro ha voglia di praticare un trattamento che ha come farmaci principali il Peg-Interferone e la ribavirina. Io la propongo, ma non la vuol fare nessuno. Neanche io la farei, considerando che i nuovi farmaci arriveranno a breve anche per i pazienti coinfetti con fibrosi epatica meno avanzata, sempre se la Ministra Lorenzin mantiene le promesse..


Quali sono state le promesse della Lorenzin?
Il 24 novembre, per la giornata delle Epatiti c'è stato un incontro a Roma, al ministero della Salute cui ha partecipato un collaboratore della Ministra, insieme a diverse associazioni, io partecipavo come socio dell’Aisf, Associazione Italiana per lo Studio del Fegato. E' stato sollevato il problema dei coinfetti ed è stato risposto che a breve anche loro avranno i farmaci anche nel caso di malattia epatica meno grave.

Cosa è cambiato per lei, come medico, con l’arrivo degli antivirali diretti?
Quelli che hanno ricevuto le cure stanno incredibilmente meglio. Stanno ingrassando. E’ migliorato anche il quadro neuro cognitivo. Si sentono liberi. E' un cambio epocale! Per questo le nuove terapie andrebbero concesse a più persone possibile, andrebbero abbassati i prezzi. Io curo le persone con Epatite C e Hiv da 30 anni e la maggior parte dei pazienti coinfetti sono morti con cirrosi epatica e epatocarcinoma. La cosa mi fa rabbia, per questo sono contento oggi di questi risultati.

Perché per le persone con Hiv è importante l'accesso ai nuovi farmaci?
Non è importante, è fondamentale. Perché ho visto pazienti coinfetti che non hanno una cirrosi avanzata, ma che con una fibrosi epatica meno grave vanno incontro a epatocarcinomi devastanti, veramente epatocarcinomi che esplodono. Molto di più rispetto alle persone sieronegative. Tutti quelli che seguono pazienti coinfetti lo sanno. Non per niente le linee guida delle società americana ed europea delle malattie del fegato hanno inserito tra le popolazioni raccomandate per il trattamento con i nuovi farmaci i pazienti con coinfezione. Quando ho visto le linee di indirizzo italiane per l’uso degli antivirali ad azione diretta contro l’epatite C ho mandato lettere di chiarimenti sulla posizione per i pazienti confetti sia al Direttore Generale dell’Aifa, al segretario dell’Aisf. La risposta è stata che le risorse sono quelle che sono e bisogna trattare per priorità clinica. Ho chiesto l’aiuto dell’associazione dei pazienti, Epac, che ho visto si sta battendo per chiedere a partire dal 1 Giugno 2016, di consentire l’accesso ai farmaci innovativi per l’epatite C a tutti i pazienti eleggibili, con priorità di accesso regolamentate da linee guida basate sull’urgenza clinica e sociale, elaborate da società scientifiche e associazioni di pazienti, insieme ad Aifa.

Quando ci sono gli epatocarcinomi cosa si può fare?
Prima bisogna trattare il tumore ed avere una risposta completa alle terapie selettive e loco-regionali secondo le linee guida. Solo in questo caso si può iniziare un trattamento con i farmaci antivirali ad azione diretta. Questo succede solo per non sprecare farmaci, non perché non si possa trattare il paziente. Nell’intenzione di chi ha stilato le linee di indirizzo per l’uso in Italia degli antivirali ad azione diretta, usare i farmaci antivirali se il paziente ha un epatocarcinoma che non ha una risposta completa è infatti uno spreco di risorse in un contesto dove queste sono scarse.

 

Non ci sono altre soluzioni, per esempio il trapianto?
I pazienti coinfetti con epatocarcinoma che ho avuto, sono tutti già morti. Questo perché non fanno in tempo ad essere trapiantati. E’ difficile riuscire a trapiantare i pazienti cirrotici con e senza epatocarcinoma coinfetti. Non sono tanti i centri trapianti che fanno trapianti in persone con Hiv. Tutti i pazienti coinfetti che ho messo in lista non ce l'hanno fatta. Dai centri, prima rispondono che è troppo presto per l’inserimento in lista, ma poi quando la malattia è troppo avanzata, non fanno in tempo ad arrivare al trapianto.
 
Si parla di andare in India per avere le terapie in modo più rapide, che ne pensa?
Aspetterei a seguire questa corrente indiana, lavorerei a livello politico. Bisogna abbassare il più possibile i prezzi dei farmaci e su questi a livello governativo ci stanno lavorando. Se la Lorenzin mantiene le promesse la situazione dovrebbe sbloccarsi.

A CATANZARO farmaci negati a persone con tumori

CoscoBn2Intervista a Lucio Cosco direttore reparto malattie infettive dell'ospedale “Pugliese-Ciaccio”

 

Lucio Cosco, direttore reparto malattie infettive dell'ospedale “Pugliese-Ciaccio” di Catanzaro, racconta di persone malate di cancro alle quali, per rispettare le linee guida di Aifa, non possono essere dati i nuovi farmaci contro l'Epatite C. Anche monitorare l'avanzata della fibrosi è un grande problema perché c'è un solo fibroscan (lo strumento che la misura) in tutta la regione Calabria.

 

Quante persone hanno avuto accesso ai nuovi farmaci contro l’Epatite C nel reparto da lei diretto?
Hanno avuto le nuove cure circa cento persone che rispondevano ai criteri  stabiliti da Aifa, ovvero una fibrosi del fegato superiore a F3. Di queste cento circa 20-25 avevano una coinfezione Hiv-Hcv. Tra le persone trattate abbiamo avuto solo un paio di fallimenti. Tutti gli altri stanno andando bene.

 

Riscontrate delle criticità nell’erogazione di questi farmaci?
Una criticità che abbiamo nella nostra regione è, che nonostante siano stati aumentati i reparti che possono prescrivere la nuova terapia, in Calabria c’è ancora solo un fibroscan, che è lo strumento che misura il livello di fibrosi dei malati. Questo è un problema per coloro che ancora non hanno avuto accesso alla terapia e devono restare sotto controllo. Quando c’erano le vecchie terapie i centri prescrittori erano sette, oggi con le nuove terapie ce ne sono dodici, ma ogni volta che un paziente deve fare un controllo della fibrosi deve andare a Lamezia.

 

Tra le persone escluse c’è qualcuno che cerca di comprarsi autonomamente i farmaci?
Questo non avviene perché sono farmaci estremamente costosi, ma sicuramente tra coloro che sono stati esclusi ci sono persone che potrebbero giovarsi di questi farmaci. Per esempio chi ha un tumore.

 

La terapia viene negata anche a chi ha un tumore?
Se non ha i requisiti di danno del fegato (fibrosi) richiesti da Aifa, sì. Ci sono stati casi di persone che pur avendo questa patologia non hanno potuto essere inseriti nella nuova terapia. Abbiamo avuto anche un betatalassemico maior che non ha potuto accedere ai nuovi farmaci. E’ una persona con una malattia ematologica di tipo ereditario, che fa trasfusioni ogni 10-15 giorni. Negare le cure a persone con queste patologia è qualcosa che viviamo molto male.

A LECCE la farmacia dispensa le terapie una volta al mese

congedoIntervista a Pierpaolo Congedo, infettivologo dell'Ospedale Vito Fazzi di Lecce

 
Pierpaolo Congedo, infettivologo dell'Ospedale Vito Fazzi di Lecce, denuncia come problemi di budget della farmacia abbiano rallentato l'erogazione dei nuovi farmaci da parte del centro medico. Inoltre, a causa della consegna dei medicinali che avviene una sola volta al mese, restano esclusi dalle nuove terapie diversi pazienti che abitano molto lontano dalla città pugliese e non hanno i mezzi per raggiungerla mensilmente.
 
Quante persone state trattando attualmente con le nuove terapie?
Nel nostro reparto di infettivologia abbiamo in cura 75 persone con coinfezione, di cui circa 15 sono state ammesse alle nuove cure, altrettanti si apprestano a essere trattati. Gli altri sono in attesa. In generale chi non ha ricevuto i nuovi farmaci è perché non ha i criteri previsti da Aifa, ma vi sono anche persone che hanno difficoltà logistiche per ritirare i farmaci – che ci vengono consegnati solo una volta al mese dalla farmacia - e per fare i controlli sanitari necessari alla loro somministrazione. 
 
Quando avete iniziato i trattamenti?
Nella tarda primavera dell'anno scorso abbiamo cominciato a poter prescrivere il Sovaldi e all'inizio dell'estate abbiamo avuto anche la disponibilità dei nuovi farmaci. A dicembre però la farmacia dell'ospedale ha bloccato gli ordini per motivi di budget di fine anno, e abbiamo ripreso l’erogazione in gennaio. Questo ritardo nella disponibilità e il periodo di ferma, sono stati i problemi principali per il trattamento, i risultati sono stati tutti positivi, con un 100% di guarigioni. 
 
In che ordine avete trattato i pazienti?
L'Aifa permette di curare con i nuovi farmaci i pazienti con fibrosi (danno del fegato) più alta, ovvero F4 e F3 e coloro che hanno una patologia meno avanzata (F2) ma crioglobulinemie (patologie correlate) gravi. Noi abbiamo iniziato a curare tutti questi pazienti man mano che si sono presentati. 

 

Vi sono persone che sono venute a farsi curare con farmaci generici indiani?
Ancora non ci è capitato questo concretamente. Io non potrei prescriverli, ma gli spiegherei come prenderli. Anche perché si tratta di farmaci con pochi effetti collaterali e piuttosto facili da somministrare. 

A REGGIO CALABRIA non seguirebbero una terapia con farmaci acquistati on line

foti

Intervista a Giuseppe Foti dell'ospedale Bianchi Melacrino Morelli

E’ molto basso il tasso di persone con coinfezione Hiv-Hcv seguite dall’Ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria, unico centro della provincia autorizzato da Aifa a prescrivere i nuovi farmaci antivirali diretti. “Su un migliaio di persone con Epatite C, seguiamo circa una ventina di coinfetti - afferma il dottor Giuseppe Foti, infettivologo, direttore del reparto di Malattie Infettive della struttura – di questi circa 5-6 sono stati avviati al trattamento con i nuovi farmaci antivirali diretti". In Calabria vi sono nel complesso 12 centri prescrittori di nuovi farmaci: oltre all’Ospedale di Reggio, quattro sono in provincia di Catanzaro, due a Lamezia, due a Crotone, due a Cosenza, uno a Vibo Valentia.

 

Quante persone sono state avviate ai trattamenti con i farmaci antivirali diretti nell'ospedale Bianchi Melacrino Morelli?
Da febbraio 2015 sono state avviate ai nuovi trattamenti oltre 200 persone. Nel complesso abbiamo un migliaio di pazienti con Epatite C. Siamo l’unico centro della provincia cui si fa riferimento per questo problema.

 

Quante di queste persone hanno una coinfezione Hiv/Hcv?
Noi seguiamo circa 20 coinfetti, di questi 5-6 hanno iniziato le nuove terapie.

 

Come avviene la distribuzione dei farmaci?
Le persone in trattamento fanno riferimento alla farmacia territoriale di competenza - vicina a dove risiedono nella provincia - e in due settimane ricevono i farmaci. La distribuzione avviene attraverso la farmacia territoriale, allo stesso modo di quanto si fa per i farmaci per l’Hiv. E’ un sistema usato da 10 anni anche per venire incontro alle esigenze logistiche dei pazienti.

 

La Regione ha posto dei limiti al rimborso dei farmaci?
Al momento non è stato posto alcun limite: abbiamo messo in terapia tutti i pazienti eleggibili secondo i sette criteri Aifa. Quando la Regione ha fatto un decreto per l’attivazione dei centri che potevano erogare la terapia con gli antivirali diretti, era stata fatta una stima dei pazienti che nell'immediato avevano necessità di trattamento: 1064 pazienti per l’intero territorio regionale. Si tratta di un numero di trattamenti che ritengo sia già ampiamente superato. Nella regione Calabria abbiamo 12 centri prescrittori: quattro in provincia di Catanzaro, due a Lamezia, due a Crotone, due a Cosenza, uno a Vibo Valentia e il nostro a Reggio Calabria.

 

Rileva un’epidemia da Epatite C?
No. Non c’è una particolare diffusione dell’Epatite C oggi: piuttosto c’è molto sommerso che di anno in anno viene fuori, e così aumenta la percezione della malattia.
 

Ci sono pazienti che pur non rientrando nei criteri di Aifa hanno bisogno delle nuove cure?

Noi dobbiamo necessariamente stare entro i paletti definiti da Aifa. Per coloro che non rientrano si propone la terapia con Interferone e Ribavirina.


Capita che persone chiedano di farsi curare con farmaci generici di provenienza indiana?
No, non mi è mai capitato.

 

Ma se glielo chiedessero, lei li seguirebbe?
Personalmente non mi sono posto il problema ma credo di no, perché prendersi la responsabilità di seguire un paziente che acquista un farmaco su internet mi sembra una cosa poco consona. So che questi farmaci si trovano in India e Egitto a prezzi più che stracciati ma sulla loro sicurezza non abbiamo le certezze che abbiamo con quelli offerti dal nostro Sistema Sanitario Nazionale (Ssn). Credo che deciderei se seguire il paziente di volta in volta, anche in base alla sua affidabilità e ad altri elementi. Personalmente, penso che se lavoriamo nell’ambito del Ssn dobbiamo operare con i farmaci distribuiti dallo stato. 

 

Qual è la risposta a questi farmaci?
Molto buona. Abbiamo avuto qualche recidiva solo nei primissimi pazienti, che hanno fatto solo 12 settimane dell’associazione Simeprevir – Sofosbuvir, quando ancora non c’era l’indicazione a fare questo trattamento per 24 settimane. Ma oltre il 95% di pazienti risponde positivamente alla terapia.

 

Come vive l’esclusione dalle nuove terapia delle persone meno gravi, che guarirebbero con certezza?
Malissimo. Credo che tutti dovrebbero avere accesso al farmaco. I meno gravi peraltro son quelli che rispondono meglio di tutti, per i quali la terapia è molto ridotta in termini di tempi e non dà assolutamente effetti collaterali. Perché spesso sono pazienti molto giovani che non assumono altri farmaci e di conseguenza non hanno neanche problemi di interazione tra medicinali. Dunque sarei per la diffusione della terapia a tutti i pazienti Hcv positivi, anche per un problema epidemiologico di ridurre la diffusione della malattia.