Discriminazioni sierologiche e di genere nella ricerca: a colloquio con Alessandra Cerioli, già Presidente LILA e storica attivista EATG

sitges meetings film posters smallAlessandra Cerioli, attivista LILA e già Presidente nazionale dell’Associazione, da diversi anni è componente dell' EATG, European AIDS Teratment Group, una ONG che raccoglie attivisti di tutta Europa e che si batte per gli interessi e i diritti delle persone con HIV, con particolare attenzione agli aspetti medici, scientifici e farmaceutici. Prosegeuendo nelle nostre riflessioni sul rapporto tra donne e HIV, iniziato con lo speciale dello scorso 8 marzo, con lei parliamo della necessità di trial di ricerca non disciminatori e che tengano nella giuista considerazione le persone con HIV, le donne e tutti i gruppi di popolazione più vulnerabili. Dai Sitges Meetings a BELONG l'impegno in EATG continua. 

Alessandra, il diritto a trattamenti inclusivi e sostenibili per le persone con HIV è una delle  battaglie storiche di EATG e del tuo personale percorso. C’è una sufficiente attenzione di genere nella ricerca farmaceutica e clinica che riguarda il trattamento dell’HIV?

La partecipazione delle donne nei protocolli della ricerca clinica è assolutamente sotto-rappresentata sia nel campo dell’HIV che nelle altre patologie. Difficilmente supera il 30% della popolazione che vi partecipa negli studi di Fase III, che hanno come obiettivo dimostrare l’efficacia del prodotto sperimentale; drasticamente ancora più bassa è, purtroppo, la percentuale di donne nelle fasi precedenti I e II che sono passaggi fondamentali per testare la farmacocinetica e la sicurezza del prodotto e per passare alla fase III, qualora fossero superate le prove. Non andiamo meglio nelle prove precliniche, dove non ci sono umani e i test avvengono o su animali maschi o in vitro su modelli cellulari di cui non si conosce il sesso di chi li ha donati. Quindi c'è un problema di esclusione che nasce a monte della ricerca, addirittura dalle fasi precliniche, un problema che è ormai noto ma che non si riesce a superare nonostante tutti gli input e le raccomandazioni degli enti regolatori e della società civile.

Quali sono i motivi di questa sotto-rappresentazione secondo te?

Questa esclusione ha varie cause, la principale è di stampo patriarcale e ha come scopo principale proteggere gli organi riproduttivi della donna da possibili rischi o danni che portino all’infertilità. Questo atteggiamento è supportato dal fatto che i farmaci escono dalle fase precliniche con nessuno o pochissimi dati su animali femmine e quindi nelle prime fasi della ricerca su umani si preferisce escludere le donne fertili a prescindere. Questo senza tenere conto della nostra capacità di valutare in autonomia i rischi o i benefici della propria partecipazione alla ricerca, calpestando così il diritto delle donne ad autodeterminarsi anche rispetto ai propri organi riproduttivi.

Poi c’è la variabilità ormonale delle donne che le rende  biologicamente differenti dagli uomini e più instabili in termini di farmacocinetica, assorbimento, eliminazione e metabolismo, per citarne solo alcune. La questione dei possibili rischi o danni per il feto è stata superata con la regola che una donna che entra in un protocollo di ricerca deve assumere sempre una terapia contracettiva efficace.

Ci sono, inoltre, fattori socio economici o culturali che possono ostacolare la partecipazione delle donne (se ammesse) ad un protocollo clinico. Partecipare ad una ricerca richiede tempo che molte donne non hanno, perché oltre ad un impiego hanno sulle loro spalle il lavoro di cura della famiglia. Possono esserci problematiche anche economiche o di tempo relative agli spostamenti per raggiungere il centro clinico e, in generale, a inserire la partecipazione a un protocollo clinico nella propria quotidianità. Anche i fattori culturali possono influire, come per esempio la bassa scolarizzazione e la incomprensione del foglio informativo o degli obiettivi del protocollo. Un altro motivo può essere il rifiuto della terapia anticoncezionale per motivi personali o religiosi.

Anche se queste barriere sono ampiamente conosciute e studiate, le azioni per rimuoverle sono quasi inesistenti.

Verso la popolazione femminile c è, poi, un'ulteriore esclusione dalla ricerca, gravissima ed eticamente inaccettabile, che riguarda le donne gravide. Se una donna rimane incinta durante uno studio di ricerca, per esempio, su un farmaco deve abbandonare immediatamente lo studio e il farmaco le viene sospeso; in alcuni casi chi conduce la ricerca continua un follow up per raccogliere dati clinici sull’esito della gravidanza e se vi è stato un eventuale danno.

Ovviamente in tutti questi casi non stiamo parlando di volontarie "sane” ma di donne affette da patologie che sono escluse dai trial o che entrano in protocolli clinici su prodotti diretti alla loro patologia e che quindi, nella maggioranza dei casi, useranno quegli stessi prodotti quando saranno disponibili sul mercato ma in completa assenza di dati e senza un controllo accurato come si ha in uno studio clinico, e questo eticamente è inaccettabile.

Dobbiamo sempre tenere presente che i protocolli clinici sono uno strumento tutelato per sperimentare nuovi prodotti e raccogliere dati. Visto però che le donne sono sotto-rappresentate il risultato è che questi prodotti vengono messi sul mercato senza dati su di noi che li utilizziamo senza nessuna tutela.

Cosa accade in particolare rispetto ai trattamenti per l'HIV?

Rispetto alla ricerca su HIV/ AIDS la situazione non varia molto ma, sicuramente, si fa qualcosa in più per migliorarla e questo grazie al coinvolgimento delle e degli attivisti che si occupano di trattamenti e che fanno azioni di advocacy per implementarla. Una particolare attenzione è anche rivolta alla partecipazione delle donne transessuali, anche loro sotto - rappresentate soprattutto negli studi clinici sulla prevenzione e ciò è assolutamente grave, visto che le donne trans sono considerate una popolazione con il più alto rischio di acquisire l’HIV.

In generale, secondo te, gli attuali trattamenti antiretrovirali per l’HIV, sono sufficientemente rispondenti anche alle specificità biologiche delle donne o si potrebbe fare di più?

Possono essere sufficienti per il criterio dell'efficacia, che fino ad oggi non mostra differenze significative tra uomini e donne ma sono assolutamente non soddisfacenti per quello che riguarda gli effetti collaterali, spesso molto differenti, o per il dosaggio.

Quindi bisognerebbe sicuramente fare di più e anche qui partendo dalle fasi precliniche. Poi rispetto alle Fasi I/II che di solito si svolgono in paesi ad alto reddito in USA o Ovest Europa o Australia, dobbiamo considerare che la popolazione più colpita è quella maschile degli MSM, il che produce una sotto-rappresentazione delle donne, anche al di fuori dei protocolli clinici. Per le fasi III si dovranno includere, invece, sempre di più, paesi dove l’infezione colpisce in misura maggiore le donne, come l’Africa o altri continenti in cui le donne con HIV sono più numerose, anche se in questi paesi però le barriere economiche o socio- culturali per la partecipazione delle donne agli studi clinici sono più alte che da noi.

L’inclusione delle persone con HIV nei trial clinici è un tema su cui EATG sta puntando con decisione, anche tramite il progetto BELONG, cosa ci puoi dire in merito? 

Sono stata tra l’ispiratrice del progetto BELONG, che mira a rimuovere il criterio di esclusione di chi ha l’HIV dagli studi clinici che riguardano tutte le altre patologie. Dal 2018 al 2023 sono stata la rappresentante delle associazioni nel  Comitato Etico delle Sperimentazioni Cliniche Emilia Centro ( CEVAC) e, proprio durante questa attività, mi sono resa conto che siamo esclusi dalla maggioranza degli studi. Attualmente, infatti le persone che vivono con l’HIV, anche quelle che hanno una infezione sotto controllo dalle terapie antiretrovirali, sono escluse dalla maggioranza delle sperimentazioni cliniche per altre patologie.

Il paradosso è che oggi, nei paesi dove la terapia antiretrovirale è disponibile, non si muore quasi più per AIDS, ma per altre patologie spesso non correlate all’AIDS, che ci colpiscono di più rispetto al resto della popolazione HIV negativa. Tuttavia, i farmaci per queste patologie non sono testati su di noi, perché noi siamo esclusi dalle sperimentazioni cliniche che devono dimostrarne l’efficacia. Ciò significa che, quando saranno commercializzati li utilizzeremo in assenza di dati di efficacia e sicurezza. Questo è un fatto grave e un ulteriore stigma che subiscono le persone che vivono con l’HIV. La sensazione è come se il resto della medicina non si sia resa conto che non siamo più negli anni 80 e che oggi l’HIV si può controllare, i nostri sistemi immunitari sono buoni, e che le terapie attuali sono ben tollerate e con scarse interazioni farmacologiche. A settembre del 2022, abbiamo  pubblicato un position paper sull’argomento prendendo una posizione netta contro quest’ esclusione, storica e sistematica, che pur essendo nota, necessita di essere affrontata adeguatamente ora, altrimenti corriamo il rischio di portarcela dietro per sempre.

La giusta composizione di genere nelle eventuali corti arruolate  è tra gli obiettivi di questo progetto?

L’idea è quella di allargare l’azione di advocacy per l’inclusione anche di patologie correlate all’HIV come Tubercolosi, Epatiti o Diabete, e ovviamente anche al genere o alle popolazioni più vulnerabili. La seconda parte del progetto Belong si ispira infatti, ad una storica ed efficace azione di advocacy organizzata proprio dalle EATG, iniziata nel 2007 e terminata nel 2017, che aveva come obiettivo l’accesso precoce ai nuovi farmaci ad azione diretta per l’epatite C per le persone coinfette da HIV/HCV e chiamata Sitges Meetings perché si sono svolte a Sitges, in Spagna. Durante questi meeting non ci limitammo all’HIV ma ci occupammo anche delle popolazioni più vulnerabili e da sempre escluse come le persone che usano droghe per via iniettiva e non solo.

Questi incontri ebbero un impatto significativo sulla qualità della ricerca prodotta perché furono inserite e priorizzate all’interno della ricerca stessa e degli studi clinici, tutte le persone che ne avevano più bisogno o perché in fase avanzata di malattia epatica o perchè  avevano fallito tutte le terapie standard disponibili, comprese anche quelle con HIV per le quali furono fatti degli studi ad HOC. Lo scorso settembre abbiamo girato un documentario proprio sui Sitges Meetings perché consideriamo questa esperienza una delle più importanti ed efficaci nel panorama dell’attivismo su HIV/ AIDS in Europa.

 

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