CROI 2014 - Bollettino Conclusivo - 12 Marzo 2014

CROI 2014LILA Onlus - Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids, in collaborazione con NAM, è lieta di fornirti la copertura scientifica ufficiale on-line della 21a Conferenza sui Retrovirus ed Infezioni Opportunistiche, che si terrà a Boston, negli Stati Uniti, dal 3 al 6 marzo 2014.

 

 

BOLLETTINO CONCLUSIVO - 12 MARZO 2014

HIV e rischio di infarto
Le malattie cardiovascolari sono oggi una delle prime cause di patologie gravi e di morte nelle persone sieropositive. Non si sa con esattezza per quale motivo, ma tra le possibili ragioni si possono ipotizzare i danni causati dall’infezione da HIV non trattata, oppure gli effetti collaterali di alcuni antiretrovirali e i fattori di rischio tradizionali come alimentazione scorretta e fumo.
Il rapporto tra HIV e rischio di infarto è stato oggetto di numerosi studi presentati quest’anno al CROI. Dai risultati ottenuti sembra esserci motivo di sperare che i progressi compiuti in materia di ART possano portare a un abbassamento dei tassi di infarto nella popolazione HIV+.

In uno studio condotto in California i tassi di incidenza dell’infarto di circa 25.000 pazienti sieropositivi sono stati raffrontati con quelli registrati in una popolazione di circa 250.000 persone sieronegative della stessa età e dello stesso sesso, per un lasso di tempo compreso tra il 1996 e il 2011.
In presenza dell’infezione da HIV il rischio di infarto complessivo aumentava del 40%. Ma il rapporto tra HIV e incidenza dell’infarto ha mostrato di diminuire nel corso dello studio, finché nel biennio 2010-11 si sono registrati tassi di incidenza molto simili tra persone sieropositive e non.
Tuttavia, la popolazione studiata comprendeva individui coperti da assicurazione sanitaria e per il 91% maschi: gli autori hanno dunque sottolineato che questi dati potrebbero non trovare riscontro in altri gruppi, in particolare nelle donne.

In uno studio separato sono state prese in considerazione 2000 donne che usufruivano dei servizi sanitari dell’ente governativo statunitense Department of Veterans Affairs: l’infezione da HIV è risultata associata a un aumento del rischio di infarto di ben tre volte maggiore, e nelle pazienti sieropositive gli episodi si verificavano a un’età più giovane.

Un altro studio ha invece individuato un’associazione tra rischio di infarto e una bassa conta dei CD4, e in un quarto studio è emerso che l’infezione da HIV aumentava del 40% il rischio di infarto nei pazienti più in là con gli anni.
Come contribuiscono questi studi a chiarire il nesso tra infezione da HIV e rischio cardiovascolare? Senz’altro colpisce il fatto che lo studio californiano, i cui partecipanti godevano di una copertura sanitaria privata, abbia dato risultati contrastanti rispetto a quello effettuato sul gruppo di donne assistite dal Department of Veterans Affairs. Si può dunque ipotizzare che i fattori di rischio tradizionali e la povertà costituiscano indicatori significativi per individuare le popolazioni sieropositive maggiormente a rischio di infarto.
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Regno Unito: per frenare l’epidemia tra i maschi omosessuali serve un significativo aumento dell’adesione a test e trattamento
Nel Regno Unito, per frenare l’epidemia di nuove infezioni da HIV tra i maschi omosessuali, la percentuale di individui con carica virale non rilevabile dovrebbe aumentare dall’attuale 60 a circa il 90%: è quanto emerge da un nuovo studio di modellazione condotto proprio su questa popolazione.
Quello dei maschi omosessuali resta uno dei gruppi più colpiti dall’HIV nel Regno Unito, e il tasso di nuove infezioni non accenna a diminuire.

Durante i primi due anni dello studio PARTNER, come attestano i risultati presentati proprio al CROI, nelle coppie sierodiscordanti omosessuali (o eterosessuali) prese in considerazione non si sono verificate trasmissioni quando il partner sieropositivo aveva abbattuto la carica virale sotto i livelli di rilevabilità. Eppure, malgrado nel Regno Unito la sanità sia pubblica e malgrado la terapia antiretrovirale sia oggi così efficace, il tasso di nuove infezioni tra i maschi omosessuali risulta anno dopo anno o stabile o addirittura in aumento.
Attualmente, nel Regno Unito i maschi omosessuali sieropositivi con carica virale non rilevabile sono il 60%. I risultati di questo studio hanno dimostrato che, se la situazione non cambia, in questa popolazione ci saranno ogni anno 3000 nuove infezioni in più.
Se invece la percentuale di individui con carica virale non rilevabile salisse al 90%, le nuove infezioni diminuirebbero fino a circa 600 all’anno.
Dallo studio emerge che, a questo scopo, è necessario incrementare l’adesione al test dell’HIV e, per coloro che risultassero positivi, iniziare tempestivamente la ART. Al momento, nella popolazione dei maschi omosessuali, la diagnosi avviene entro un anno dall’acquisizione del virus solo nel 40% dei casi: affinché il trattamento possa andare a ridurre significativamente il tasso di nuove infezioni è necessario che questa percentuale salga al 90%.
Nel complesso, lo studio mostra che il trattamento può effettivamente incidere in modo significativo sul tasso di HIV tra i maschi omosessuali nel Regno Unito: è però necessario ripensare in modo sostanziale le attuali strategie di promozione dell’adesione a test e trattamento.
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Rischio di HIV in gravidanza
I risultati di uno studio condotto in Kenya mostrano che è alto il rischio di una donna di contrarre l’HIV durante la gravidanza, il che ribadisce l’importanza di ripetere più volte il test dell’HIV durante la gestazione, soprattutto per scongiurare il rischio di trasmissione materno-fetale del virus.

Nello studio sono state monitorate, per un periodo compreso tra il 2011 e il 2013, oltre 1300 donne: per essere arruolabili, le partecipanti dovevano risultare negative all’HIV al momento della prima visita prenatale o comunque nei tre mesi precedenti.
Al momento dell’arruolamento, dieci donne sono risultate sieropositive, e altre 14 hanno contratto il virus durante il follow-up: due negli ultimi mesi di gravidanza, tre entro 14 settimane dal parto e sette nei nove mesi successivi.
La presenza di un’infezione sessualmente trasmissibile (IST) è risultata associata a un rischio di contrarre l’HIV quattro volte maggiore durante la gravidanza,
il che, secondo gli autori, non fa che ribadire l’importanza di test e trattamento delle IST per la prevenzione dell’HIV.
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Prevenzione della trasmissione da madre a figlio
La combinazione lopinavir/ritonavir e il 3TC si sono dimostrati ugualmente efficaci, nella profilassi pre-esposizione (PrEP), per prevenire la trasmissione dell’HIV da madre a figlio tramite allattamento al seno: è il risultato di uno studio condotto per 12 mesi in diversi paesi africani.

Sono stati presi in considerazione 1200 bambini nati da madri sieropositive e risultati negativi all’HIV alla nascita, tutti allattati al seno, il che comporta un potenziale rischio di contagio tramite il latte materno. I bambini sono stati randomizzati in due gruppi, a cui è stato somministrato un trattamento profilattico rispettivamente a base di lopinavir/ritonavir (Kaletra) o di 3TC (lamivudina, Epivir).
Nel corso di dodici mesi di allattamento, a contrarre l’HIV è stato l’1,5% circa dei bambini considerati, e il tasso di trasmissione non ha mostrato variazioni significative tra i due bracci dello studio. Il tasso di sopravvivenza senza HIV superava il 95% sia nel braccio del lopinavir/ritonavir che in quello del 3TC, e anche il tasso di mortalità osservato nei bambini è risultato simile. Tra i decessi verificatisi, hanno inoltre osservato gli autori dello studio, nessuno è risultato imputabile all’infezione da HIV, ma piuttosto a diarrea o polmonite.
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Nuovi farmaci e nuove strategie terapeutiche
Al CROI di quest’anno sono stati presentati diversi studi su nuovi farmaci antiretrovirali o nuove strategie terapeutiche che hanno dato risultati promettenti.


Nuovo NNRTI si dimostra efficace in uno studio
Un NNRTI sperimentale denominato doravirina si è dimostrato altamente efficace contro l’HIV, oltre che ben tollerabile sotto il profilo degli effetti collaterali. A questa classe di NNRTI (inibitori non-nucleosidici della trascrittasi inversa) appartengono attualmente l’efavirenz, l’etravirina, la nevirapina e la rilpivirina.
Ai partecipanti allo studio, circa 200 pazienti naïve al trattamento, è stata somministrata doravirina in diversi dosaggi, in combinazione con tenofovir e FTC (i principi attivi del Truvada). Sotto il profilo dell’efficacia e della sicurezza, la doravirina è risultata paragonabile all’efavirenz (Sustiva, Stocrin, anche nel combinato Atripla).
A 24 settimane dall’inizio del trattamento, è riuscito ad abbattere la carica virale a livelli non rilevabili il 76% dei pazienti che assumevano il farmaco sperimentale, contro il 64% di quelli trattati con efavirenz. La doravirina è inoltre risultata associata ad una minor insorgenza di effetti collaterali.
È prevista una successiva sperimentazione sulla doravirina nel regime con dosaggio a 100mg.

Terapia a due farmaci sufficiente per il mantenimento
Un regime a base di soltanto due antiretrovirali si è dimostrato efficace quanto la triplice terapia standard nel mantenere non rilevabile la carica virale in pazienti che avevano precedentemente ottenuto la soppressione virale con il classico regime tricombinato.

Si tratta di una combinazione dell’NNRTI rilpivirina (Edurant) con l’inibitore dell’integrasi sperimentale GSK1265744.
I partecipanti allo studio hanno innanzitutto assunto la classica terapia a base di una combinazione di tre antiretrovirali. Dopo sei mesi, a patto che fossero riusciti ad abbassare la carica virale al di sotto delle 50 copie/ml, venivano sottoposti per altri sei mesi al regime di mantenimento con due farmaci, in uno di tre diversi dosaggi. I tassi di soppressione virale sono risultati comparabili a quelli ottenuti in pazienti che continuavano ad assumere la triplice.
Alla 48° settimana di trattamento, la percentuale di pazienti trattati con terapia duplice che aveva mantenuto la carica virale irrilevabile è risultata uguale a quella dei pazienti che avevano assunto la terapia standard.

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Altre notizie dal CROI 2014
Stroncare l’HIV sul nascere: studiare l’impronta genetica per bloccare la trasmissione
Alla Conferenza di quest’anno ci sono state molte presentazioni sull’analisi filogenetica, ossia lo studio dell’impronta genetica dell’HIV per individuare eventuali pattern ricorrenti di trasmissione e poter così stabilire una gerarchia di priorità nelle strategie di prevenzione. Continua a leggere (in inglese) >> 

Efavirenz efficace quanto lopinavir/ritonavir nel trattamento perinatale
I
n un gruppo di donne in gravidanza a cui è stata somministrata una terapia a base di efavirenz si sono ottenuti risultati significativamente migliori in termini di soppressione virale al momento del parto rispetto a un altro gruppo trattato con lopinavir/ritonavir: su questo studio randomizzato condotto nell’Uganda rurale ha relazionato alla Conferenza la dott.ssa Deborah Cohan, a nome dell’équipe di ricercatori responsabili dello studio PROMOTE. Continua a leggere (in inglese) >>


La strategia di prevenzione preferita dal 40% dei maschi omosessuali: evitare partner sierodiscordanti
Da uno studio di Seattle emerge come evitare i partner di status sierologico opposto sia di gran lunga il metodo per evitare di contrarre l’HIV più adottato dai maschi omosessuali, che in alcuni casi hanno avuto rapporti sessuali non protetti con più di un partner. I risultati dello studio sono stati presentati alla Conferenza. Continua a leggere (in inglese) >> 


Selezione di notizie a cura della redazione di NAM
Anello vaginale a base di due ARV per la prevenzione dell’HIV risulta sicuro, ma la sua efficacia si deve a uno solo dei due farmaci (via Microbicide Trials Network)
Uno studio di fase I evidenzia che c’è ancora della strada da fare per mettere a punto l’impiego del maraviroc, il primo inibitore dell’ingresso virale ad essere testato come microbicida. I risultati in merito all’efficacia dell’anello vaginale a base di dapivirina sono soddisfacenti, e i trial sono già in fase III.

Rebound virali osservati nel 35% dei pazienti trattati con monoterapia PI/r: i cinque anni dello studio PIVOT (via HIV i-Base)
In uno studio finanziato dal Medical Research Council (MRC) britannico è stata valutata una strategia terapeutica a lungo termine che ha ottenuto bassi tassi di complicanze gravi e ha dimostrato di avere un buon potenziale per ridurre i costi della terapia. Tuttavia, oltre un terzo dei pazienti che hanno assunto la monoterapia con inibitori della proteasi potenziati con ritronavir (PI/r) hanno sperimentato un rebound virale, contro solo il 3% dei pazienti trattati con la terapia combinata standard.

Due nuovi studi sottolineano l’impatto della ART sulla trasmissione dell’HIV in luoghi gravemente colpiti dall’epidemia in Africa (via MSF)
Due nuovi studi pubblicati da Epicentre, centro di ricerca dell’organizzazione umanitaria internazionale Médecins Sans Frontières/Medici Senza Frontiere, mostrano che, nelle zone dove l’accesso alla ART è stato ampliato, si registra una diminuzione delle nuove infezioni da HIV.

Farmaco anti-HIV correlato a diminuita densità ossea nei bambini (via MedPage Today)
In uno studio, dei bambini nati da madri sieropositive trattate con un antiretrovirale raccomandato per gestanti hanno presentato una diminuita densità ossea, riferisce un ricercatore al CROI.

 

Allegato: CROI 2014 - Bollettino Conclusivo

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