HIV Glasgow 2022

Glasgow 2022Data: 23 - 26 Ottobre 2022
Autore: NAM - Traduzione italiana a cura di LILA Onlus

LILA Onlus - Lega Italiana per la Lotta contro l'AIDS, in collaborazione con NAM, è lieta di fornirti la copertura scientifica ufficiale on-line del Congresso Internazionale sulla Farmacoterapia nell’infezione da HIV 2020 (HIV Glasgow 2022), che si è tenuto in forma ibrida dal 23 al 26 ottobre 2022.

 
Le riduzioni nelle popolazioni di cellule immunitarie causate dall’islatravir sono dose-dipendenti e reversibili

Al Congresso Internazionale sulla Farmacoterapia nell’infezione da HIV (HIV Glasgow), la scorsa settimana, la casa farmaceutica MSD (nota come Merck negli Stati Uniti) ha presentato i primi dati dettagliati circa un effetto collaterale inatteso dell’islatravir, il suo nuovo farmaco anti-HIV.

L’islatravir appartiene a una nuova classe di antiretrovirali detti inibitori nucleosidici della traslocazione della trascrittasi inversa (NRTTI). Era considerato promettente perché lo si reputava in grado di evitare l’insorgere di resistenze e di permanere molto a lungo nell’organismo, due caratteristiche che lo rendevano adatto alla somministrazione mensile per via orale e a quella semestrale o annuale tramite iniezione o impianto sottocutaneo.

Lo scorso novembre, tuttavia, ne è stata sospesa la sperimentazione a seguito della scoperta di un’associazione con una riduzione di numerosi tipi di cellule coinvolte nella risposta immunitaria, tra cui tutti i linfociti (globuli bianchi), i linfociti B deputati alla produzione di anticorpi, i linfociti natural killer (NK) e i linfociti T, sia CD8 che CD4, che regolano l’attività immunitaria cellulare e che vengono prese di mira dall'HIV.
Todd Correll di Merck, nel suo intervento, si è concentrato sui dati emersi da uno studio di fase II per la determinazione del dosaggio (c.d. studio dose-finding) in cui sono state testate somministrazioni giornaliere di 0,25 mg, 0,75 mg e 2,25 mg, più un braccio di controllo che ha assunto tenofovir al posto dell’islatravir. Tutti hanno ricevuto il trattamento in combinazione con doravirina e lamivudina.

Lo studio ha consentito di osservare più da vicino la variazione della soppressione dei linfociti in base al dosaggio somministrato. Ad esempio, alla settimana 72 si è registrato un aumento del 20,5% rispetto al basale nella conta linfocitaria totale dei partecipanti che assumevano la dose più bassa di islatravir, e del 16% di quelli nel braccio del tenofovir. Di contro si è osservata una lieve diminuzione – dello 0,4% – nei partecipanti trattati con 0,75 mg di islatravir e invece una diminuzione notevole – del 16% – in quelli trattati con 2,25 mg.

Poiché alcuni partecipanti a due dei bracci dello studio hanno cambiato dosaggio, dai risultati si possono trarre anche informazioni circa l’eventuale reversibilità degli effetti osservati con dosaggi maggiori. Generalizzando, chi è passato da 2,25 mg a 0,75 mg di islatravir ha sperimentato un aumento nella conta linfocitaria totale e quelle dei CD4 e dei linfociti B; chi è passato da 0,25 mg a 0,75 mg di islatravir ha sperimentato invece una diminuzione; mentre per chi ha mantenuto il dosaggio a 0,75 mg le conte sono rimaste sostanzialmente invariate.

MSD sostiene che la minima dose efficace di 0,25 mg non dovrebbe causare significative riduzioni nella popolazione di linfociti, e sarà dunque questo il dosaggio portato avanti negli studi sul trattamento giornaliero con islatravir e doravirina.

Per il momento non saranno invece ulteriormente sviluppati gli studi su dosaggi maggiori e sulle nuove formulazioni dell’islatravir che promettevano la somministrazione mensile o addirittura annuale – e con essa una rivoluzione in campo di prevenzione dell'HIV.

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Il rapido aumento dell’adesione alla PrEP in Ucraina, quest’anno

In Ucraina, oltre la metà delle persone che fanno ricorso ai farmaci per la profilassi pre-esposizione hanno iniziato ad assumerli quest’anno, e il paese spera di potenziare ulteriormente i propri servizi per la PrEP: è quanto dichiarato a HIV Glasgow 2022 da Anna Koval, capo-epidemiologa per l’HIV e specialista della prevenzione presso il Ministero della Salute ucraino.

Si tratta di un risultato notevole per un paese in cui moltissimi centri specializzati nella cura dell’infezione da HIV sono stati danneggiati o distrutti, gran parte della popolazione è in fuga e molti medici sono stati riassegnati o trasferiti a causa della guerra. Delle 250 strutture mediche che potevano erogare la PrEP prima della guerra, 31 sono state distrutte o danneggiate in modo irreparabile, oppure si trovano dietro le linee russe.

Il costante aumento del ricorso alla PrEP, ha detto Koval, è stato possibile solo grazie alla collaborazione delle associazioni attive sul territorio e delle organizzazioni non governative, che si sono fatte carico di effettuare la maggior parte dei test HIV e l’eventuale invio agli specialisti; questo ha liberato di una grossa mole di lavoro il personale medico, che poteva così occuparsi solo delle prescrizioni.

Nel periodo precedente allo scoppio della guerra, le persone che iniziavano ad assumere la PrEP erano circa 500 al mese. Il numero è drasticamente diminuito subito dopo l'invasione alla fine di febbraio, ma è tornato ad aumentare a giugno, quando si sono raggiunte le 732 persone: si tratta del numero più alto mai registrato.

Attualmente, le persone che ricevono la PrEP in Ucraina sono oltre 8700, di cui 4559 hanno iniziato nel 2022.
"La nostra intenzione è decentralizzare ulteriormente, prescrivere la PrEP al di fuori degli ospedali e promuovere il ricorso ai test per l’autodiagnosi e alla telemedicina", ha dichiarato Koval. "Continuiamo a fare piani per il futuro, ma questi piani devono essere flessibili, perché la nostra situazione è mutevole".

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I rifugiati ucraini HIV-positivi in Polonia sono meno del previsto

Con l’afflusso di rifugiati con infezione da HIV in arrivo dall’Ucraina, il numero di persone che fruiscono delle cure per l’HIV in Polonia è aumentato del 16%, ha riferito a HIV Glasgow 2022 il dott. Miłosz Parczewski, presidente della Polish AIDS Society. È meno del previsto: l’Ucraina ha infatti quasi il decuplo di persone che vivono con l’HIV rispetto alla vicina Polonia, il paese che ospita il maggior numero di rifugiati che hanno lasciato l’Ucraina dopo l'invasione.

È possibile ipotizzare svariate motivazioni. Alcune di queste persone, innanzitutto, non hanno intenzione di rimanere in Polonia, e potrebbero essere in viaggio verso altri Paesi in cui hanno già ottenuto lo status di rifugiati; altre potrebbero aver abbandonato il percorso di cura; e altre ancora si sono rivolte a ospedali periferici della Polonia orientale che non hanno ancora fatto pervenire dati a riguardo.

Le diverse caratteristiche demografiche e le diverse esigenze dei rifugiati ucraini stanno creando per la rete di servizi polacca la necessità di rispondere a nuove esigenze. Ad esempio, l'80% delle persone con infezione da HIV in Polonia sono uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini; invece l'epidemia di HIV in Ucraina, essendo iniziata tra persone che facevano uso di stupefacenti per via iniettiva, è oggi alimentata prevalentemente da infezioni acquisite attraverso rapporti eterosessuali. Il numero di bambini che ha contratto l’infezione dalla madre (trasmissione verticale) trattati per l'HIV in Polonia in pochi mesi è quasi raddoppiato.

Uno dei problemi che i medici polacchi hanno dovuto affrontare è che il regime combinato assunto dalla maggior parte degli ucraini con infezione da HIV non è disponibile in Polonia, per cui molti pazienti hanno dovuto cambiare trattamento. Un’altra criticità è che molti ucraini presentano un sottotipo di HIV chiamato A6, raramente riscontrato in altri Paesi europei. Sebbene si temesse che questo sottotipo potesse facilitare l’insorgenza di resistenze ai farmaci antiretrovirali, e in particolare agli inibitori dell'integrasi, le informazioni finora disponibili a riguardo sono rassicuranti.

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Video su YouTube in cui il dott. Miłosz Parczewski parla dell’assistenza sanitaria ai rifugiati HIV+ in Polonia 

 

Ri-soppressione dell’HIV dopo il rebound virale

Con il trattamento a base di dolutegravir si hanno probabilità significativamente maggiori di ottenere la ri-soppressione dell’HIV dopo il rebound virale che con i regimi contenenti efavirenz: è quanto emerge da una meta-analisi condotta su quattro grandi studi clinici.

La capacità di un regime antiretrovirale di far tornare l'HIV di nuovo irrilevabile dopo il rebound virale è una questione particolarmente importante per i contesti a basso e medio reddito, in cui il numero di regimi disponibili è limitato. Se fallisce il trattamento di prima linea, il trattamento di seconda linea è molto più costoso; è quindi fondamentale avere dati sulla probabilità di ri-soppressione virale nelle persone che continuano ad assumere il precedente regime esistente ma ricevono un counseling più strutturato sull'aderenza terapeutica, come indicato dalle linee guida dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.

Il dott. Andrew Hill e i suoi colleghi hanno messo insieme i dati di quattro grandi studi che hanno confrontato il trattamento a base di dolutegravir con quello a base di efavirenz o di inibitori della proteasi nell'Africa subsahariana. Nella meta-analisi, i tassi di ri-soppressione virale nei partecipanti che avevano manifestato un fallimento virologico (carica virale superiore a 1000) e non avevano cambiato trattamento sono risultati significativamente più alti in chi era trattato con dolutegravir piuttosto che con efavirenz (p=0,04).

Secondo il dott. Hill, sono necessari ulteriori studi per valutare quali risultati si possono ottenere offrendo counseling sull'aderenza e per quanto si può attendere in caso di viremia sostenuta prima di proporre uno switch terapeutico alle persone che assumono dolutegravir. Lo studioso ha peraltro sottolineato che le nuove linee guida sudafricane per il trattamento raccomandano di abbandonare il trattamento con dolutegravir solo se viene rilevata una resistenza agli inibitori dell'integrasi.

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Il trattamento HIV iniettabile, nella pratica

Secondo i primi dati di uno studio tedesco condotto su persone trattate con un regime iniettabile a base di cabotegravir e rilpivirina (Vocabria/Rekambys in Europa, Cabenuva in Nord America e Australia) nell’ambito di un progetto dimostrativo, l'insoddisfazione dei pazienti rispetto alla terapia antiretrovirale (ART) si è dimezzata in sei mesi. Durante questo periodo, l'89,5% dei partecipanti ha continuato ad assumere la terapia, mantenendo una carica virale inferiore a 50 copie.

Solo due delle 236 persone trattate con cabotegravir/rilpivirina sono andate incontro a un fallimento virologico, definito come una carica virale superiore a 200 in due determinazioni consecutive. Uno dei due pazienti con fallimento virologico non avrebbe dovuto partecipare allo studio fin dall’inizio, perché si è scoperto in seguito che aveva già sperimentato un fallimento con un regime contenente farmaci NNRTI, e di conseguenza aveva sviluppato una resistenza alla rilpivirina. Ma l'altro caso lascia interdetti, dacché il paziente non presentava fattori di rischio apparenti.

Un’analisi separata ha messo a fuoco i fattori di rischio di fallimento virologico della combinazione cabotegravir/rilpivirina. Sono stati esaminati i dati relativi a 1363 persone partecipanti a tre diversi studi clinici, alcune delle quali ricevono le iniezioni da ormai tre anni. Il tasso aggregato di fallimento virologico è risultato dell'1,4%, o 0,54 per 100 anni-persona di follow-up.

Sono emersi come predittori significativi di fallimento virologico tre fattori presenti al basale: la presenza di mutazioni associate a resistenza alla rilpivirina, il sottotipo HIV-1 A6 o A1 (diffuso soprattutto in Russia e paesi limitrofi) e un indice di massa corporea più elevato.

Una combinazione di due di questi fattori è risultata fortemente associata a fallimento virologico (il trattamento è fallito nel 19% delle persone che presentavano due fattori di rischio). Il fallimento era invece molto meno comune nelle persone con un solo fattore di rischio (2,0%) o senza fattori di rischio (0,4%).

C’è il problema che identificare la resistenza alla rilpivirina è difficoltoso per i medici, dacché chi è virologicamente soppresso non può far sequenziare l’RNA virale per il test delle resistenze. È possibile sequenziare il DNA provirale, ma è un procedimento costoso e la maggior parte delle strutture mediche non lo esegue. L'unica alternativa è basarsi sulla storia clinica dell’interessato (precedenti fallimenti di farmaci appartenenti alla classe degli NNRTI), ma sono informazioni non sempre ottenibili.

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Resoconto completo sullo studio tedesco su aidsmap.com 
Resoconto completo sul rischio di fallimento con il trattamento iniettabile su aidsmap.com 
Video su YouTube in cui la prof.ssa Chloe Orkin parla dello studio sul fallimento terapeutico 

 

La gravidanza nelle donne con infezione da HIV dalla nascita

Sempre più donne cresciute con l’HIV stanno oggi diventando madri, ha riferito a HIV Glasgow un team di ricercatori britannici. Tra il 2006 e il 2021, ci sono state nel Regno Unito 17.478 gravidanze di donne con infezione da HIV, tra cui 202 gravidanze di 131 donne che avevano l’infezione dalla nascita. In questo lasso di tempo, la percentuale di madri cresciute con l'HIV è aumentata dallo 0,3% al 3,5%.

Le donne incinte con HIV dalla nascita sono risultate significativamente più giovani (età mediana 24 anni) rispetto quelle che hanno probabilmente acquisito l'infezione tramite rapporti eterosessuali (età mediana 33 anni). Sebbene più donne cresciute con l'HIV fossero in trattamento antiretrovirale al momento del concepimento, i loro tassi di soppressione virale sono risultati leggermente inferiori rispetto alle donne che hanno acquisito l’infezione in un momento successivo della vita.

Gli outcome dei due gruppi sono risultati sostanzialmente simili, ma nelle donne cresciute con l'HIV si è riscontrato un rischio maggiore di parti pretermine e basso peso neonatale. Dei 150 bambini nati da donne cresciute con l'HIV per le quali si disponeva di un follow-up completo, uno è risultato positivo all'HIV.

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Malattie cardiovascolari e prevenzione

Quasi la metà della popolazione di un’ampia coorte europea di persone con infezione da HIV è risultata a rischio elevatissimo di malattie cardiovascolari, ma una considerevole percentuale non assumeva farmaci preventivi, si è appreso a HIV Glasgow.
Per lo studio sono stati presi in considerazione i dati relativi a 22.050 persone con infezione da HIV in Europa e Australia tra il 2012 e il 2019.

Il rischio ‘elevatissimo’ è stato definito come rischio pari o superiore al 10% di subire, entro dieci anni, un evento cardiovascolare grave come infarto o ictus, o andare incontro a morte per un evento cardiovascolare grave, o ancora di dover subire un intervento chirurgico per una cardiopatia grave. La percentuale di persone con rischio elevatissimo di malattie cardiache è aumentata dal 31% del 2012 al 49% del 2019.

Eppure, si è scoperto che un terzo delle persone che avrebbero potuto assumere farmaci antipertensivi nel 2019 non li assumeva, e il 43% non assumeva farmaci per ridurre i livelli lipidici. Una percentuale simile, infine, non assumeva farmaci per tenere sotto controllo la glicemia.

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Migranti omo- e bisessuali in Francia

In Francia, gli uomini omo- e bisessuali nati all'estero hanno una prevalenza più elevata di HIV, un tasso più alto di nuove infezioni e maggiore probabilità che la loro infezione resti non diagnosticata. La loro concentrazione, inoltre, è particolarmente alta nella regione di Parigi.

Secondo nuovi dati presentati a HIV Glasgow, almeno il 38% delle persone appartenenti a questa popolazione hanno contratto l’HIV dopo il trasferimento in Francia. L’acquisizione dell’infezione in Francia è risultata più diffusa tra gli uomini provenienti dal Nord Africa (73%), dall'Asia e dall'Oceania (61%) e dall'Africa sub-sahariana (53%) rispetto a quelli provenienti da altri paesi europei (47%) o dall'America Latina e dai Caraibi (39%).

Sono dati che evidenziano come gli uomini omo- e bisessuali che migrano in Francia abbiano grande bisogno di strumenti per la prevenzione dell’HIV e di misure di contrasto al disagio sociale.

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Un semplice sistema di punteggio per predire la sopravvivenza

Un sistema di punteggio in grado di identificare le persone anziane HIV-positive con prognosi più sfavorevole è stato applicato a pazienti con infezione da HIV in Svizzera, dimostrandosi tanto accurato quanto lo era stato per la popolazione francese, è stato riferito a HIV Glasgow.

Il sistema Dat'AIDS è stato sviluppato analizzando la mortalità delle persone con infezione da HIV di età superiore ai 60 anni in Francia. I fattori risultati associati al rischio di morte sono otto: età, conta dei CD4, presenza di un tumore non HIV-correlato, malattie cardiovascolari, ridotta funzionalità renale, cirrosi epatica, basso indice di massa corporea e anemia.

Il nuovo studio ha validato lo strumento utilizzando come campione i membri della Swiss HIV Cohort. Gli esiti previsti dal sistema sono risultati molto in linea con la mortalità realmente osservata.
Individuare le persone con HIV più a rischio di bassa sopravvivenza è importante per definire l’ordine di priorità degli interventi clinici, senza contare che il sistema può contribuire a rassicurare le persone che ottengono punteggi più bassi.

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