EACS 2023 - Primo Bollettino

EACS2023logoLILA Onlus - Lega Italiana per la Lotta contro l'AIDS, in collaborazione con NAM, è lieta di fornirti la copertura scientifica ufficiale on-line della XIX Conferenza Europea sull'AIDS (EACS 2023), che si terrà a Varsavia, Polonia, dal 18 al 21 ottobre 2023.

 

 

 

PRIMO BOLLETTINO

 

COVID-19, dopo l'infezione aumenta anche nelle persone con HIV il rischio di malattie cardiovascolari

Le persone con infezione da HIV che hanno avuto il COVID-19 hanno un rischio del 35% più elevato rispetto ad altre persone HIV-positive di subire un evento cardiaco importante nel corso dell'anno successivo alla diagnosi: è quanto emerge da uno studio condotto in Spagna.

Svariati studi di ampia portata condotti sulla popolazione generale avevano già evidenziato come chi ha avuto il COVID-19 sia esposto a maggior rischio di incorrere in un evento cardiovascolare importante, per esempio un infarto, rispetto al resto della popolazione. Il rischio di nuovi eventi cardiovascolari dopo una diagnosi di COVID-19, però, non era finora stato specificamente studiato nelle persone con HIV.

La dott.ssa Raquel Martin Iguacel e i suoi collaboratori hanno raccolto le diagnosi COVID-19 inserite nel database della coorte HIV spagnola PISCIS tra marzo 2020 e luglio 2022, incrociandole con gli eventi cardiovascolari segnalati nel database PADRIS, che contiene dati relativi alla fruizione dei servizi sanitari nella regione spagnola della Catalogna.

Sono state individuate 4199 persone con HIV che avevano avuto il COVID-19 e 14.004 che non l'avevano avuto. La popolazione dello studio era prevalentemente maschile (82%) con un'età mediana di 45 anni nel gruppo COVID e di 48 anni nel gruppo non-COVID. Circa il 3% presentava una conta dei CD4 inferiore a 200 (un fattore di rischio per lo sviluppo di Covid-19 grave).
Il 7% dei pazienti con diagnosi di COVID-19 hanno avuto bisogno di ricovero ospedaliero, e per 25 persone si è reso necessario il ricorso a terapia intensiva.

Durante un periodo di follow-up mediano di 243 giorni, si è registrato un evento cardiovascolare in 211 persone nel gruppo COVID e in 621 nel gruppo non-COVID, per un tasso di incidenza rispettivamente di 70,2 e 56,8 per 1000 anni-persona.
All'analisi multivariabile, dopo l'aggiustamento per fattori demografici, fattori correlati all'HIV, COVID-19 e co-morbidità associate, una diagnosi di COVID risultava associata all'aumento del 35% del rischio di qualsiasi evento cardiovascolare.

La differenza di rischio si è osservata soprattutto per tre tipi di problemi cardiovascolari: trombosi (formazione di coaguli di sangue, i trombi appunto); insufficienza cardiaca (incapacità del cuore di pompare una quantità sufficiente di sangue); e altri disturbi cardiaci come aneurismi (dilatazioni di un vaso sanguigno che possono provocarne l'improvvisa rottura). Le persone con HIV che avevano avuto il COVID-19 non presentavano invece tassi più elevati di infarto o ictus.
Gli autori dello studio hanno concluso che quando a una persona con HIV viene diagnosticato il COVID-19, anche nei casi in cui non

si rende necessario un ricovero ospedaliero, la salute cardiovascolare dovrebbe essere al centro dell'attenzione per tutto il periodo di ripresa dalla malattia. Trattandosi di una popolazione già esposta un rischio più elevato di malattie cardiache, è poi importante che le persone con HIV si vaccinino contro il COVID-19 e che effettuino puntualmente i richiami.

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Abstract dello studio sul sito ufficiale della Conferenza 

 

Sintomi di PTSD osservati in un ambulatorio HIV di Amsterdam: interessano una persona su sette

Un numero significativo di persone con un'infezione da HIV ben controllata in carico presso un ambulatorio HIV della capitale olandese presenta sintomi di disturbo post-traumatico da stress (designato anche con la sigla PTSD, dall'inglese post-traumatic stress disorder); lo ha riferito alla Conferenza Kevin Moody dell'Università di Amsterdam

Il PTSD insorge in persone che hanno subito un evento traumatico e non sono in grado di elaborarlo correttamente. Questi eventi possono essere gravi infortuni, malattie o incidenti; episodi di abuso o violenza sessuale; lutti ripetuti; esperienze di rifiuto a causa di stigma o pregiudizio; traumi vissuti a causa di una guerra, di violenza politica o della migrazione forzata.

Una persona affetta da questo disturbo può avere incubi o flashback in cui rivive l’evento traumatico, può sperimentare intensa paura o stati di forte tensione, oppure può mettere in atto comportamenti volti a evitare di ricordare l’evento.

L'Amsterdam Medical Center ha proposto ai suoi assistiti di compilare un questionario di screening per il PTSD. I 474 intervistati erano prevalentemente di sesso maschile (85%), nati nei Paesi Bassi o in altri paesi ad alto reddito (79%) e avevano carica virale non rilevabile (99%).

Sessantadue degli intervistati (13%) soddisfacevano i criteri per i sintomi di PTSD. Si tratta di un dato superiore rispetto alla prevalenza del PTSD nella popolazione generale (secondo indagini effettuate a livello globale si calcola che il disturbo interessi il 4% delle persone che hanno vissuto un evento traumatico) ed è paragonabile ai dati relativi alle persone affette da cancro (15%), a chi soffre di dolore cronico (10%) e ai veterani di guerra (14%).

Secondo Moody, dovrebbe dunque essere presa in considerazione l'eventualità di includere lo screening per il PTSD tra le cure cliniche di routine per tutte le persone con HIV.

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Francia, oltre sei su dieci migranti maschi omo- e bisessuali con HIV hanno acquisito l'infezione nel paese

Alla Conferenza è stato presentato uno studio condotto su uomini omo- e bisessuali HIV-positivi nati all'estero che vivono in Francia, da cui è emerso che il 62% di loro hanno acquisito l'infezione da HIV dopo essersi trasferiti nel paese.

Lo studio, denominato GANYMEDE, ha coinvolto 1159 uomini omo- e bisessuali con HIV in cura nella regione di Parigi. I partecipanti avevano un'età media di 43 anni, vivevano in Francia in media da 18 anni ed erano in cura da sei anni.

Circa la metà dei partecipanti è stata in grado di indicare quando avevano acquisito l'HIV; per l'altra metà, la data dell'infezione è stata ricavata dalle cartelle cliniche oppure stimata sulla base della conta dei CD4.

Secondo quanto stimato dagli autori dello studio, il 62% dei partecipanti ha acquisito l'HIV dopo l'arrivo in Francia, ma questo dato varia anche sensibilmente a seconda della regione di provenienza: ha contratto l'infezione in Francia la stragrande maggioranza degli uomini provenienti dal Nord Africa (85%) e da Asia e Oceania (73%), ma solo una minoranza di quelli provenienti dal Sud America (40%).

Quanto agli uomini che non avevano un'infezione da HIV al loro arrivo, nella maggior parte dei casi la probabilità di acquisirla era notevolmente più alta nel primo anno di permanenza in Francia rispetto agli anni successivi. Questo è stato osservato particolarmente negli uomini provenienti dall'Africa subsahariana: per il 25% di coloro che hanno acquisito l'HIV in Francia è accaduto nel primo anno, contro il 4,6% negli anni dal secondo al quinto e il 3,9% negli anni dal sesto al decimo. Dati analoghi si sono avuti per gli uomini provenienti dall'Asia: il 16% ha acquisito l'HIV nel primo anno, e solo il 6% nei nove anni successivi.

Le difficoltà affrontate da alcuni di questi uomini sono emerse dai risultati di un'indagine condotta tra i partecipanti. Poco meno del 50% ha riferito che al momento dell'arrivo non parlava francese; quasi il 25% è arrivato come richiedente asilo o migrante irregolare; il 28% non aveva alcun tipo di copertura medica; l'8% non ha avuto fissa dimora durante tutto il primo anno di permanenza in Francia; il 27% era disoccupato e oltre la metà ha dichiarato di non avere abbastanza denaro per vivere.

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Tassi di fallimento terapeutico più elevati con la dual therapy a somministrazione intermittente

In uno studio randomizzato controllato su un regime antiretrovirale a due farmaci (dual therapy) con somministrazione intermittente (solo quattro giorni la settimana), i tassi di soppressione virale sono risultati simili a quelli ottenuti con un regime giornaliero: quelli di fallimento virologico e di resistenza, però, con la modalità di trattamento intermittente erano più elevati. I risultati sono stati presentati in un poster alla Conferenza.

Gli autori dello studio avevano precedentemente ottenuto risultati promettenti con un regime a tre farmaci da assumere per soli cinque e quattro giorni consecutivi alla settimana. La somministrazione intermittente, argomentano i ricercatori, può ridurre gli effetti collaterali, abbassare i costi ed essere più pratica per chi deve assume il regime. La sostenibilità a lungo termine di questi regimi e il rischio di sviluppare resistenza che possono implicare continuano però ad essere oggetto di critiche da parte di alcuni esperti di HIV.

La somministrazione intermittente non era finora mai stata sperimentata con la dual therapy.

Tra giugno 2021 e gennaio 2022, 433 persone con infezione da HIV hanno preso parte allo studio presso diverse strutture mediche specializzate in Francia. Per essere eleggibili, i partecipanti dovevano avere carica virale costantemente non rilevabile da più di un anno e non presentare resistenze ai due farmaci che componevano il regime.

I partecipanti sono stati randomizzati in due gruppi: 219 di loro sono state assegnate al gruppo a somministrazione intermittente (assunzione dei farmaci per quattro giorni consecutivi alla settimana, con tre di "riposo") e gli altri 214 al gruppo che invece assumeva farmaci tutti i giorni. Il 66% dei partecipanti è stato trattato con dolutegravir più lamivudina (Dovato), il 34% con dolutegravir più rilpivirina (Juluca) e tre con darunavir più lamivudina.

Dopo un anno, la differenza nei tassi di soppressione virale tra i diversi gruppi è risultata trascurabile: hanno mantenuto una carica virale non rilevabile il 94,5% dei partecipanti che assumevano i farmaci solo quattro giorni la settimana e il 96,3% di quelli che li assumevano quotidianamente.

Nel gruppo con somministrazione intermittente sono però stati riportati otto casi di fallimento terapeutico, contro nessuno nel gruppo a dosaggio giornaliero. Sei casi si sono verificati in partecipanti trattati con dolutegravir più lamivudina. Rispetto alla rilpivirina, la lamivudina ha un'emivita breve (ossia impiega poco tempo a diminuire la sua concentrazione nell'organismo) e una barriera relativamente bassa verso la resistenza (il che significa che il virus può sviluppare rapidamente una resistenza a questo farmaco quando la concentrazione è bassa).

Degli otto partecipanti che sono andati incontro a fallimento terapeutico nel gruppo con somministrazione intermittente, si è scoperto che quattro avevano una resistenza ai farmaci che stavano assumendo.

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