Paolo Meli, Presidente ICAR 2025: "Urgenti più risorse al terzo settore per tutelare i più fragili e la salute pubblica"

Paolo Meli ICARPaolo Meli del CICA, è stato uno dei quattro Presidenti della 17esima edizione di ICAR tenutasi a Padova dal 21 al 23 maggio scorso, referente per le communities. In questa intervista Meli segnala con forza come, tra le urgenze poste da società civile e dal terzo settore, ci sia quella delle risorse. Un adeguato sostegno economico è indispensabile, spiega, per affermare i diritti umani e per la salute pubblica.

Paolo, sei stato uno dei Presidenti di questa edizione di ICAR che bilancio ne fai?  

E’ stata un’esperienza di crescita e di confronto importante anche con persone e realtà che non fanno parte della galassia delle communities ma che si occupano di HIV/AIDS, di salute sessuale e di benessere delle persone. Quindi è stata una buona esperienza; quando ci si confronta, o talvolta ci si scontra, ma sempre nell’interesse comune, nell’esigenza di capire quali sono le prospettive per il futuro è sempre una cosa positiva. Questo mi pare ci sia stato e sia emerso.

Nel corso dei lavori sono state portate all’attenzione alcune riflessioni nuove. Penso a quella sulla necessità o meno di cambiare le modalità di offerta del test negli ambienti sanitari o a quella sull’urgenza di rivedere il modello di cura e ricerca per le patologie oncologiche di chi è in HIV. Cosa ne pensi? Individui altri temi emergergenti?

Si, concordo, sono stati trattati due temi cruciali ed emergenti Ne vorrei sottolineare un terzo, quello delle risorse e della sostenibilità di azioni come quelle illustrate in questi giorni dalle communities, azioni che funzionano, che sono a tutti gli effetti azioni cruciali di salute pubblica ma che non sono finanziate adeguatamente. Prendiamo ad esempio le questioni relative al test: se la priorità resta quella di recuperare le diagnosi tardive e portare le persone a curarsi prima possibile, perché dobbiamo combattere per ottenere che queste azioni siano sostenute? In questo caso, peraltro, la salute personale coincide con la salute pubblica: se ti curi, tu stai bene e l’infezione si ferma. Se diagnostichi l’HIV ad una donna transessuale, sex worker straniera e con il solo visto turistico, perché poi devi sudare le sette camicie per farla curare? Che interesse c’è a frapporre tante barriere al suo diritto alla salute? Se non per umanità –che è l’aspetto che interessa più le nostre realtà- perché almeno non si fa prevalere la razionalità scientifica? E’ assurdo che per noi della società civile, delle ONG, delle community debba essere così difficile supportare proprio le persone più fragili, che più fanno fatica ad entrare in percorsi di cura.

Cosa servirebbe per le persone più vulnerabili invece?

Servirebbero non solo la disponibilità dei farmaci più adatti ma anche percorsi personalizzati dal punto di vista sociale e assistenziale e questo a vantaggio, non solo della singola persona ma del bene pubblico.

Peraltro è emerso con chiarezza quanto sia importante andare a cercare sui territori le persone più vulnerabili ed esposte all’HIV…però le risorse sono sempre meno.

Infatti, il problema è questo. Forse la leva, potrebbe essere, come dicevo prima, far capire che questa non è solo una questione umanitaria; rafforziamo il messaggio dell’impatto sul bene pubblico e anche sugli aspetti economici come abbiamo fatto per U=U. Dobbiamo insistere sul fatto che investire sulla salute di tutti e tutte è anche un investimento economico che serve a render più sostenibile la spesa sanitaria. 

ICAR è un po' un unicum nella collaborazione tra comunità scientifica e società civile; manca però sempre il terzo attore, quello politico-istituzionale, di qui il nodo risorse. In un momento in cui sarebbe importante che l’amministrazione pubblica affrontasse i temi della salute con l’approccio più scientifico e razionale possibile, invece, la sensazione è di razionalità ce ne sia sempre meno e che questo momento storico sia pieno di rischi. Cosa nei pensi, sei d’accordo?  Lo segnalava anche la protesta di PLUS nella prima giornata.

Certo, e questo si collega  con le preoccupazioni per il tema disuguaglianze; rischia di passare il concetto di meritocrazia nell’ambito della salute, è come se te la salute te la dovessi meritare oppure devi potertela permettere. Il cittadino attrezzato, informato, con possibilità economiche può avere la possibilità di curarsi, prevenire; chi non ha possibilità, invece, rischia di ammalarsi e di non potersi curare: questa è una disuguaglianza macroscopica. In prospettiva mi pare un rischio e non solo per l’HIV. Davvero il timore è quello di andare verso un sistema in cui chi non ha i mezzi, non ha gli strumenti culturali, rischia di restare sempre più indietro.

Sull’HIV avverti il rischio che possa abbattersi uno stigma istituzionale più pesante di quanto non sia?

Il rischio che qualcuno cominci a pensare: “Perché dovremmo spendere per curare queste persone?” Sì, c’è e lo si evince chiaramente da quanto accade rispetto alla PrEP: perché contrastare uno strumento così importante e che può rendere più sostenibile la spesa per HIV? Il dubbio che dietro ci sia un pregiudizio ideologico, moralistico ti viene... Ciò che succede nel mondo, del resto, fa temere che anche qui le cose possano andare peggio, questa preoccupazione c’è, è emersa e si fa sempre più netta.

 

Foto per gentile concessione di ICAR

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