Focus su ICAR 2025: intervista al Dottor Antonio Di Biagio, coordinatore abstract del convegno

Di BIagio ICARIl Dottor Antonio di Biagio, Infettivologo dell’ospedale policlinico San Martino di Genova, coordina già da alcuni anni la selezione e la sistematizzazione di tutti gli abstract presentati annualmente per ICAR. Anche quest’anno ci aiuterà ad orientarci sui principali temi emersi dal punto di vista scientifico, clinico e sociale. Nel corso di questa edizione ha presentato uno suo lavoro dedicato alla ART Long-Acting “”The long-acting benefits for a broad and diverse population”.

Per una buona aderenza –ha spiegato Di Biagio- si devono considerare tre fattori: La persona, con il suo stile di vita, il farmaco (il tipo di regime, le interazioni, la facilità di distribuzione) e la storia dell’infezione (Comorbosità, durata, ricoveri). Meno ostacoli per la terapia e una buona aderenza sono gli ingredienti fondamentali del successo virologico. Tutti gli studi –ha spiegato Di Biagio- stanno dimostrando che la ART Long-Acting è in grado di migliorare di molto l’aderenza delle persone in terapia; molte sono quelle che, non riuscendo ad essere aderenti con il regime giornaliero orale, hanno migliorato le loro condizioni con la Long-Acting facendo registrare altissimi livelli di puntualità negli appuntamenti per la somministrazione intramuscolo.   Il regime CAB/RPV ha anche mostrato di non alterare il profilo metabolico e di non determinare aumenti di peso, La strategia di trattamento CAB/RPV, ha concluso inoltre Di Biagio, si sta rivelando un’opzione valida anche per chi deve convivere con carico di comorbidità elevato, sia in termini di efficacia che di tollerabilità.

Dottor Di Biagio, quali sono le principali direzioni di studio emerse in questa 17esima edizione di ICAR?

Se possiamo fare un paragone sportivo, quest’anno, certamente “hanno vinto” la terapia antiretrovirale e gli studi sulla clinica dell’infezione. Siamo tornati un po’ agli intorno al 2010 ma non è certo un passo indietro quanto, piuttosto, il segno del forte interesse per il miglioramento delle ART, e, in primis per la long-acting. Per ora è a cadenza bimestrale ma si guarda già a quello a cadenza semestrale o a quello orale con analoghe cadenze che potrà arrivare. Tanti poi sono stati gli studi clinici su neoplasie e HIV, comorbidità e poi quelli sorti intorno allo studio REPRIVE che ha dimostrato come il ricorso alle statine debba divenire di uso comune per le persone con HIV. Oltre a questi aspetti indicherei poi l’interesse per la PrEP e gli studi sociali. Ormai sulla profilassi Pre-esposizione in Italia c’è un fiorire di studi ed esperienze di centri che hanno avviato percorsi specifici. Si tratta di studi prevalentemente sulla PrEP orale ma ci sono anche i primi lavori sul trattamento iniettivo Long-Acting. La parte di studi sociali, invece, racconta di tutta una serie di servizi innovativi che puntano a supportare le persone, per esempio, nella gestione delle IST. In Italia su questo aspetto eravamo indietro ma ora sembra che stiamo andando veloci nel recuperare terreno su diagnosi e prevenzione anche di queste Infezioni Sessualmente trasmesse.

Torniamo alla ART Long-acting che è stata anche oggetto della sua relazione. Al momento è la terapia che, come impatto sulla persona, può più somigliare a una cura?

In qualche modo sì, se per “cura” si intende non dover prendere una terapia tutti i giorni. Consideriamo poi che al momento la somministrazione è a due mesi ma che poi arriverà quella a sei mesi e, dopo ancora, probabilmente, somministrazioni ancora più dilazionabili. La Long-Acting non ti ricorda tutti i giorni che devi curarti e può avere un grande vantaggio psicologico.

Come sta andando la ART Long-Acting?

Sta andando molto bene, solo in questo convegno ci sono state tre sessioni dedicate alle esperienze italiane, senza contare i grandi trials internazionali. La Long-Acting sta avendo successo; dal punto di vista dell’efficacia la terapia ha gli stessi effetti di quella orale. Conta molto la scelta delle persone. Quando sono le persone a sceglierla funziona, e anche molto bene.

A che punto sono invece gli studi sulle prospettive di eradicazione dell’HIV? 

Per fare questi studi ci vogliono molti fondi e in Italia non abbiamo sostegni per progetti così a lungo termine. Quello che emerge però è che si sta lavorando per capire qual è il meccanismo che consente ad alcune persone che contraggono il virus di difendersi; penso ad esempio agli “elite controller”, penso a quelli che non progrediscono nell’infezione pur senza terapia. Intendiamoci: si tratta di pochissime persone, forse meno dell’1 per mille. Tuttavia, studiare i meccanismi che consentono di attivarne le difese naturali può essere, di certo, un tassello in più per comprendere i possibili meccanismi di inibizione del virus.

Tra i temi posti dalla community c’è stato anche quello della gestione delle patologie oncologiche in HIV e dell’esclusione dai trial di ricerca sui tumori. Un bel problema, vista l’alta esposizione delle PWH a questo tipo di malattie...

Si è un problema cruciale. Invito davvero a una rilettura approfondita della relazione iniziale di Alessandra Cerioli che, non solo è stata commovente perché ci ha ricordato persone care che non ci sono più, ma ci ha anche fatto ben vedere quali sono i gap in materia. Tutti abbiamo avuto una persona cara con un tumore ma le persone con HIV rischiano di non poter beneficiare al meglio dei nuovi farmaci perché sono escluse dai trial di ricerca. Invece è fondamentale che le persone con HIV siano incluse nella ricerca, a maggior ragione perché, da sempre, si sono rese disponibili, in prima persona, a far progredire la scienza e gli studi. Quasi tutte le persone che ho in cura si sono prestate ad essere inserite in qualche trial nuovo. Ecco, io penso che questo debba accadere anche per i trial oncologici. Anche ho avuto una persona in cura che faceva ART iniettiva e affetta da un tumore invalidante e anche “visivamente” penalizzante: un tumore alla gola. Questa persona è mancata recentemente ma la sua forza di volontà nel voler proseguire la ART e insieme la radioterapia, mi ha convinto ancora di più della necessità che le persone con HIV debbano e possano essere inserite in tutti i trial di ricerca oncologici. E’ una battaglia sacrosanta e di primaria urgenza scientifica.

 

Foto per gentile concessione di ICAR

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