La prima generazione anziana di persone con HIV: le sfide da affrontare fin da subito

invecchiamentoGrazie alle terapie antiretrovirali (ART), le aspettative di vita delle persone con HIV si sono ormai avvicinate a quelle della popolazione generale. Secondo dati UNAIDS, nel 2015 le persone con HIV nel mondo erano 36,7 milioni e di queste quasi 6 milioni avevano dai cinquant'anni in su, una percentuale concentrata in buona parte nei paesi in cui è garantito l’accesso a terapie e servizi. Gli esperti prevedono una veloce evoluzione di questo quadro: recenti modelli olandesi stimano che il 70% delle persone HIV positive nel 2030 avrà più di cinquant’anni. Sta dunque crescendo rapidamente la prima generazione anziana con l’HIV.

 
Si tratta di una buona notizia che però impone di approfondire scientificamente le possibili interazioni tra terapie, patologie correlate all’invecchiamento, comorbidità.  Occorre, infatti, poter sperimentare e attivare fin da subito modelli di prevenzione, assistenza e trattamento nei confronti di questa specifica popolazione anziana che potrebbe presentare particolari vulnerabilità. Comunità scientifica, associazioni, mondo della ricerca segnalano già da tempo questa esigenza. A Roma il 5 e 6 febbraio prossimo si terrà, non a caso, il “1st Geriatric HIV Medicine Summit”Patrocinato anche dalla LILA, si tratta del primo incontro nazionale dedicato a medicina geriatrica e HIV, volto a fare il punto su questa evoluzione clinica e sociale. Obiettivo dell’incontro è sviluppare una maggiore collaborazione tra infettivologi, geriatri, associazioni, creando anche un network nazionale con gruppi di lavoro, in grado di sviluppare migliori pratiche d’intervento rispetto a questa emergente questione. Nel frattempo fioriscono studi e ricerche, volte, in primo luogo, a comprendere se, realmente l’HIV o le terapie possano anticipare alcune patologie e alcuni processi di decadimento fisico legati all’invecchiamento.
 Alcune stime –indica il documento di presentazione del summit- segnalano che il 28% delle persone anziane con HIV svilupperà comorbidità correlate all’età. Tra le principali vulnerabilità, comuni a tutta la popolazione anziana, con o senza HIV, ci sono le patologie neurologiche e cognitive, quelle oncologiche, quelle vascolari e metaboliche, le patologie osteo-muscolari, il diabete. Le persone con HIV mostrano  tassi  più alti di queste patologie ma, come spiega NAM- Aidsmap nel suo speciale sull’invecchiamento delle persone con HIV, non esiste un consenso scientifico unanime sul fatto che l’HIV e le terapie ART possano, di per sé, favorire un 'invecchiamento precoce. Le cause possono essere anche altre. Innanzitutto può essere fuorviante stabilire comparazioni con la popolazione anziana generale in quanto la persone con HIV si concentrano nella fascia tra i cinquanta ed i sessant'anni d’età, mentre sono molte di meno nelle classi d’età superiore. La maggiore attenzione alla prevenzione e i controlli medici frequenti da parte delle persone con HIV possono essere inoltre motivo di diagnosi precoci e tempestive, il che potrebbe contribuire ad abbassare l'età media delle diagnosi di talune patologie rispetto alla popolazione generale Nel caso del diabete, ad esempio, l’età media della diagnosi tra le persone con HIV è di quarantesette anni, mentre tra la popolazione generale si sale a cinquantaquattro anni. Questo però potrebbe non essere dovuto necessariamente ad invecchiamento precoce ma a diagnosi più tempestive. Negli anni futuri inoltre, poiché le persone con HIV continuano a invecchiare, è probabile che l'età media della diagnosi con il diabete aumenti. 
Altri fattori che possono spiegare la maggiore vulnerabilità alle patologie dell’invecchiamento possono essere legati agli stili di vita e al generale benessere psico-fisico. Lo stress, lo stigma subito nel corso della vita dalle persone con HIIV possono essere sicuramente una di queste, così come l’aver contratto altre patologie che possano aver indebolito l’organismo o l'aver assunto sostanze o farmaci particolarmente debilitanti. E’ bene sapere che si può fare molto per vivere una vecchiaia meno problematica: fare esercizio fisico, controllare il peso, mangiare sano, smettere di fumare, curare le relazioni sociali e il proprio benessere psicologico sono alcune delle raccomandazioni valide per tutta la popolazione anziana o meno giovane, indipendentemente dallo stato sierologico. Per le persone con HIV sono inoltre particolarmente importanti il costante e attento monitoraggio delle proprie condizioni di salute e la puntualità nei controlli e nelle analisi. 
Talune criticità e particolarità dell’invecchiare con l’HIV necessitano comunque, come si diceva, di specifici approfondimenti scientifici oltre che socio-sanitari. In attesa del convegno di febbraio, ecco di seguito una panoramica di alcuni dei più recenti studi in materia
 
Studio su Cerebropatia micro vascolare (Cerebral Small Vessel Disease-CSVD): ricerca guidata da A.Mouligner e condotta da un gruppo di scienziati di vari istituti di ricerca e cura parigini tra cui la Fondation Adolphe de Rothschild. Pubblicato nel dicembre 2017.
La CSVD riguarda una serie di anomalie che interessano i vasi sanguigni del cervello ed è considerata un precursore di più gravi patologie: deterioramento neucognitivo, demenze senili, fragilità, andatura alterata. 
Gli scienziati francesi hanno cercato di provarne la correlazione con l’HIV. Tra il giugno 2013 e il maggio 2016, sono state reclutate 456 persone con HIV di mezza età, in terapia ART e con carica virale soppressa. 156 le persone reclutate per il gruppo di controllo, HIV-negative e delle stesse classi d’età. Circa l’80% era di sesso maschile. La CSVD è stata rilevata nel 51,5% dei PLHIV e nel 36,4% delle persone non HIV mostrando dunque un più alto fattore di rischio nel primo gruppo di popolazione
 Gli autori dello studio invitano i medici a ricercare la CSVD nelle PLHIV tramite risonanza magnetica. Tale screening deve essere mirato in particolare agli ultra-sessantenni.
 
Studio su HIV e patologie neuro cognitive: condotto da un gruppo di scienziati guidati da James H.Cole e afferenti a diversi istituti di cura e ricerca londinesi. Pubblicato nel gennaio 2018.
Quasi opposte rispetto al precedente, le conclusioni di questo studio britannico, durato due anni, che non ha rilevato un aumento di patologie cerebrali superiori alla media nel gruppo esaminato di pazienti HIV con ART. Condotto con l’aiuto delle neuro- immagini, lo studio ha arruolato 134 persone con HIV e con soppressione virale e 79 non HIV delle stesse classi demografiche (età media 57,2 anni). “I nostri risultati –scrivono i ricercatori- indicano che nelle PLWH che assumono le terapie ART conseguendo una soppressione della carica virale, i cambiamenti progressivi che possono verificarsi nel cervello non sono maggiori di quelli osservati nel gruppo di controllo HIV-negativo”.  Secondo gli studiosi: "Per comprendere meglio le traiettorie dell'invecchiamento cognitivo nelle persone con HIV gli studi futuri dovrebbero basarsi su numeri più grandi, valutazioni più frequenti e periodi di rodaggio”.  
 
Studio su HIV e Diabete Mellito: condotto da un gruppo di ricercatori canadesi dell’Università della British Columbia di Vancouver, guidato da Faizal Samad. Pubblicato nel gennaio 2018. 
Il Diabete Mellito (DM) può sviluppare, nel tempo, danni ai reni, malattie cardiovascolari, danni agli arti inferiori e alla vista. Le persone con HIV mostrano livelli più alti di diagnosi per questo tipo di patologia. I ricercatori canadesi hanno cercato di studiare meglio questo fenomeno seguendo, per una media di 13 anni, 1065 persone con HIV in cura presso la struttura, con età superiore o uguale ai cinquant'anni. L’88% era di sesso maschile. Il 38% aveva fatto uso di sostanze e il 43% era stato colpito da epatite C. Nel periodo d'osservazione, hanno sviluppato il diabete 235 persone, un tasso di incidenza del 39% più alto di quello osservato nella popolazione generale canadese dai cinquant'anni anni in su. Non sono state rilevate differenze significative nel rischio di sviluppare il diabete legate all’età di diagnosi dell'HIV, alla presenza di anticorpi del virus dell'epatite C, all’uso di droghe iniettabili al sesso o al peso. 
Lo studio indica invece più possibilità di sviluppare il Diabete Mellito tra le persone di questa fascia d’età che abbiano iniziato un trattamento antiretrovirale prima del 1999 o che siano state hanno esposto più a lungo a farrmaci come stavudina (D4T), zidovudina (AZT) o inibitori della proteasi di prima generazione come nelfinavir o indinavir.  L'ART iniziata nei primi anni dell'epidemia e l'esposizione a terapie più vecchie sembrano essere dunque i principali motori dello sviluppo del DM. L'esordio del diabete si è rivelato molto meno probabile nelle persone di cinquant'anni e più che hanno iniziato il trattamento dal 2010 in poi, o che hanno iniziato il trattamento con un numero di cellule CD4 superiore. Nello specifico, gli autori riferiscono che l'incidenza del diabete ha iniziato a calare bruscamente dopo il 2000, con solo due diagnosi di diabete nell'intera popolazione clinica tra il 2010 e 2015, cambiamento che coincide con l’avvento di farmaci di nuova generazione. E’ importante perciò –raccomanda lo studio-  monitorare il diabete nelle persone con HIV, ma l'incidenza del DM è destinata a diminuire nelle PLHIV  che abbiano iniziato la ART più recentemente.

Studio su correlazioni tra HIV, fumo, enfisema ed ostruzione delle vie respiratorie: condotto da un gruppo di studiosi provenienti da vari centri clinici francesi. Pubblicato nel gennaio 2018. 
Lo studio ha coinvolto 351 PLHIV e 702 non HIV, tutti fumatori dai 40 anni in su e con un’età media di 50 anni. Le donne erano il 17%. I ricercatori hanno rilevato significative correlazioni tra le patologie legate all’ostruzione delle vie respiratorie e persone fumatrici con HIV con una storia di immunodeficienza importante. L’incidenza è risultata più alta rispetto ai fumatori del gruppo di controllo non HIV.  

Studio italo-americano su ART e perdita della densità minerale ossea.  Pubblicato nel novembre 2017
Il fenomeno della perdita di densità minerale ossea (BMD) dopo l'inizio della terapia Antiretrovirale è ben documentato ma pochi sono i dati sui cambiamenti a lungo termine, in particolare tra le donne. Questo studio che coinvolto ricercatori statunitensi e italiani, condotto presso la Modena HIV Metabolic Clinic, ha riguardato 839 donne e 1759 uomini con HIV, la maggioranza di età dai cinquanta anni in su, per un periodo di dieci anni.  Il 15% delle donne era in post-menopausa. Lo studio ha mostrato come la densità ossea al collo del femore, un significativo fattore predittivo di rischio di fratture, è diminuita due volte più rapidamente tra le donne rispetto agli uomini. 
 
Studio olandese sull’impatto dell’HIV, dell’età e della comorbidità su qualità della vita e depressione.  Pubblicato nel giugno 2017
L’ultimo studio che riportiamo ha indagato sulla depressione nelle persone con HIV e sulla loro qualità della vita. Le persone con HIV coinvolte 541 (tutte con carica virale soppressa) contro le 526 non HIV, hanno mostrato un livello più basso di benessere psicologico, fisico e mentale con una maggiore propensione alla depressione. Il quadro peggiora nelle persone con comorbidità. Tali esiti rafforzano l’importanza di ottimizzare i servizi di prevenzione e assistenza a disposizione di una popolazione con HIV che continua a invecchiare.
 
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