Pubblicato da ECDC il report 2016, monitoraggio sull’applicazione della Dublin Declaration.

logo report ecdcECDC ha divulgato lo scorso febbraio, in occasione  della conferenza HepHIV 2017 svoltasi a Malta, il report 2016 sull’applicazione della Dublin Declaration, un documento che, con cadenza biennale, monitora l’applicazione della stessa Convenzione e fa il punto sui progressi compiuti nel contrasto all’HIV/AIDS  nei  trentuno paesi dell’Unione europea e della SEE (Spazio Economico Europeo).  
Il rapporto è articolato in diverse sezioni: uno “Special report” dal titolo “The status of the HIV response in the European Union/European Economic Area, 2016”, contenete una panoramica della situazione generale in Europa, dei temi emergenti e delle risposte in atto, e cinque report tematici: “Continuum of HIV care”, “HIV and treatment”, “HIV testing”, “HIV and migrants”, “HIV and men who have sex with men”. A completare il rapporto, un compendio, un evidence brief,  sulla PrEP: “Pre-exposure prophylaxis for HIV in Europe”.Base importante del documento è l’ampio questionario somministrato lo scorso anno da ECDC sull’applicazione della dichiarazione di Dublino. La struttura del questionario è stata riorganizzata in modo da evidenziare le strategie dei vari paesi su alcuni aspetti centrali del contrasto al virus: prevenzione, test, trattamenti terapeutici, mantenimento in cura, informazioni strategiche.

Una delle principali novità del 2016 è stata quella di aver sottoposto un unico questionario a governi e società civile, il che ha portato i principali stakeholder di entrambi i settori a collaborare per completarne la stesura, inaugurando una collaborazione che si è dimostrata molto importante.

Di seguito una breve panoramica dei punti centrali affrontati nel report. 

Trasmissione e diffusione dell’HIV in Europa

L’Hiv resta ancora un rilevante problema di salute pubblica nell’area dell’Unione Europea e dello spazio economico  Europeo (UE/SEE).  Nel 2015 le nuove diagnosi, nei trentuno paesi dell’area, sono state 29.747, un livello che non mostra cali significativi nell’ultima decade: il tasso è passato dal 6,6 per 100mila abitanti del 2006 al 6,3 per 100mila abitanti nel 2015. Più elevato negli uomini (9,1 per 100mila) che tra le donne (2,6 per 100mila).  Il numero di persone che vivono con l’HIV (PLHIV) nell’area UE/SEE è stimato, sempre con riferimento al 2015, in 810.000 con una prevalenza molto più alta però in alcuni paesi e in alcune popolazioni chiave. 

La trasmissione sessuale è all’origine di gran parte delle nuove infezioni nell'UE / SEE.  In particolare, decrescono i casi dovuti a rapporti eterosessuali, anche se questa rimane la principale modalità di trasmissione in un terzo dei paesi in esame, tra cui l’Italia . Nel 2015 il 32% delle nuove diagnosi è stato attribuito al sesso tra uomini e donne.  Gli uomini che fanno sesso con altri uomini (MSM) sono invece la popolazione chiave in cui le infezioni continuano ad aumentare: nel 2015 il sesso tra uomini ha rappresentato più della metà delle nuove diagnosi in quindici paesi UE / SEE, il 42% sul totale dei paesi.


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 Anche tra i migranti tuttavia, si rilevano percentuali difformi dalla popolazione generale e, sebbene alcuni di loro abbiano contratto il virus prima di giungere nei paesi in cui hanno ricevuto le diagnosi, ci sono crescenti evidenze indicanti che alcuni sotto-gruppi siano a rischio di contrarre l’HIV, proprio dopo il loro arrivo in Europa.  Le nuove diagnosi di HIV tra migranti provenienti da paesi extraeuropei rappresentano il 22% di tutti i nuovi casi, una popolazione chiave in crescita in tutti i paesi UE / SEE.

Tra il 2006 e il 2015 il numero di casi di HIV tra i consumatori di sostanze per via iniettiva (IDU) è diminuito del 44% e nel 2015, la trasmissione dovuta all'uso di sostanze iniettate rappresentava solo il 4% delle nuove diagnosi di HIV riportate. Questo riflette il risultato degli sforzi di molti paesi dell’area che si sono impegnati nell'attuazione di interventi di riduzione del danno (RDD). Diminuisce anche la prevalenza tra i detenuti. Tuttavia, l'uso di droga per via iniettiva rimane, in alcuni tra i paesi in esame, una via di trasmissione rilevante.

Le nuove infezioni dovute alla trasmissione materno - infantile e alla trasmissione attraverso le trasfusioni di sangue, nell’UE/SEE  sono state virtualmente eliminate.  In particolare la prima, rappresenta meno dell’1% dei nuovi casi di HIV diagnosticati nel 2015;  Si ritiene inoltre che,  la maggior parte dei neonati con HIV,  siano nati o siano stati infettati, al di fuori del paese europeo in cui è stato segnalato il caso.

Il numero di casi di Aids continua a diminuire.  Nel 2015 sono stati diagnosticati 3754 casi di persone con AIDS contro gli 8465 del 2006. Diminuisce anche il numero di persone decedute per cause AIDS-correlate: dalle 2.608 del 2006 alle 885 del 2015, risultato dovuto al miglioramento della qualità delle cure.

Prevenzione e riduzione del danno

La capillarità e la fruizione  degli interventi di prevenzione adottati non sono sufficienti a ridurre il numero di nuove infezioni da HIV. Due paesi UE / SEE su tre, e l’Italia tra questi, riferiscono che i fondi disponibili per la prevenzione sono insufficienti a ridurre il numero di nuove infezioni da HIV e solo dieci paesi considerano tali fondi adeguati alle esigenze

La copertura degli interventi primari di prevenzione, quali la promozione e la distribuzione dei condom,  gli interventi  volti alla modifica dei comportamenti a rischio, la PrEP (profilassi pre-esposizione),  gli interventi mirati alle popolazioni chiave, la riduzione del danno (RDD) per i consumatori di  sostanze  per via iniettiva (con distribuzione di  siringhe  e trattamenti di sostituzione degli oppioidi) resta troppo bassa in troppi paesi per avere un impatto significativo.

Le barriere politiche e legali, così come lo stigma e le discriminazioni, contribuiscono a limitare la fornitura e la fruizione dei servizi per la prevenzione dell’HIV tra le popolazioni chiave.  L’intervento di prevenzione su cui gravano più ostacoli politico-legislativi, è la riduzione del danno, in particolare la distribuzione di siringhe nelle carceri. Almeno il 50% dei paesi UE/SEE riferisce di avere leggi o politiche che impediscono o limitano questo tipo di attività. Più in generale, il 25% dei paesi in esame, ha in vigore leggi che criminalizzano l’esposizione all’HIV e questa è riportata come un’altra potenziale barriera per l' utilizzo dei servizi di prevenzione.  Almeno il 75% dei paesi UE/SEE riferisce che lo stigma e le discriminazioni verso le comunità MSM sono un ostacolo al miglioramento dell’accesso ai servizi. Sorprendentemente, il 60% degli stessi paesi, riferisce anche di stigma e discriminazioni da parte dei professionisti del sistema sanitario, identificando in questo, un ostacolo rilevante per la fornitura di adeguati servizi di prevenzione a MSM e IDU. 

Gli interventi di RDD si rivelano, dunque, particolarmente esigui nelle carceri, specie nei paesi in cui la percentuale di persone IDU, è molto alta rispetto alla popolazione carceraria. E'il caso dell’Italia dove, a fine 2016, i detenuti tossicodipendenti  erano ancora 13mila su  54mila, il 24% del totale. Se la fornitura in carcere di OST (trattamenti di sostituzione degli oppioidi) è disponibile in ventisei paesi su trentuno, anche se non in tutti gli istituti, molto meno diffusi sono gli interventi di distribuzione di siringhe monouso (NSP): solo tre paesi su trentuno ne riferiscono la disponibilità in tutte le carceri e solo due in alcune. 

Due paesi su tre riconoscono anche l’insufficienza delle risorse volte a sostenere i programmi di prevenzione attuati dalla società civile.  Per ridurre il numero di nuove infezioni la quantità e la diffusione degli interventi deve essere invece assolutamente migliorata.

Per quanto riguarda la PrEP, Profilassi pre-esposizione,  i paesi EU/EEA stanno iniziando a considerarne l’erogazione in favore delle popolazioni a più alto rischio di contrarre l’infezione da HIV. In questo senso la PrEP potrebbe rappresentare un’opzione preventiva supplementare  da offrire a queste fasce di popolazione.  L’uso combinato di Emtricitabina e Tenofovir disoproxil fumarato (Truvada) per la PreP è stato approvato nell’UE/EEA ma attualmente solo quattro paesi, Francia, Norvegia, Scozia e Belgio, forniscono  questa profilassi, attraverso il servizio sanitario, alle popolazioni ad alto rischio, principalmente MSM.  La situazione potrebbe tuttavia cambiare entro breve,  visto che la PrEP è in corso di sperimentazione in altri 3 paesi ed altri 10 hanno in programma di iniziare interventi analoghi.  L’Italia è indicata tra i paesi che hanno progetti di sperimentazione in corso.

Il costo dei farmaci e l’indisponibilità di servizi socio- sanitari adeguati, sono indicati tra I principali ostacoli all’implementazione della PrEP in Europa.  Ben tredici sono i paesi che identificano nel costo dei farmaci un ostacolo rilevante all’erogazione della profilassi pre-esposizione, undici paesi lo individuano nei costi per i servizi e altri nove segnalano preoccupazioni per il possibile impatto negativo della PrEP sull’utilizzo del condom.  Altri ancora, nove paesi, segnalano preoccupazioni per il rischio di una maggiore trasmissione di altre infezioni sessualmente trasmissibili.

Testing

Una rilevante fascia di persone con Hiv non conosce ancora il proprio stato sierologico e, tra coloro che ne sono a conoscenza, la metà ha ricevuto la diagnosi molto in ritardo rispetto al momento dell’infezione.  Sulla base dei dati riferiti da venti paesi, si stima che il 17% delle persone che vivono con HIV non abbia ancora ricevuto una diagnosi.  Quando i dati dei sistemi di sorveglianza dei 31 paesi in esame saranno completi si stima che questa percentuale possa scendere al 15%.  Per quanto riguarda le diagnosi tardive, il 47% di tutti i nuovi casi segnalati nel 2015, riportava un numero di cellule CD4 inferiore a 350/ mm3. Si tratta dunque di persone con un sistema immunitario già compromesso, un fattore che rende meno efficaci le cure, aumenta mortalità e morbilità tra le fasce colpite, porta a maggiori costi sanitari e aumenta le possibilità di trasmissione dell’HIV.  La proporzione di “late presenter” è più alta tra quanti hanno contratto l’HIV attraverso l’iniezione di sostanze (58%), e più bassa tra gli uomini che hanno contratto il virus attraverso il sesso con altri uomini (37%). I migranti provenienti dall’Africa sub-Sahariana e dal sud e sud-est asiatico, hanno più probabilità di ricevere diagnosi tardive rispetto ai non-migranti.

L’elevato numero di persone con HIV che non conosce il proprio stato, o che ne viene a conoscenza in ritardo, riflette un insufficiente accesso al test  e forti lacune nei servizi di testing che non raggiungono le popolazioni  più a rischio.  Anche  se i tassi di effettuazione del test per HIV variano notevolmente tra i vari paesi in esame, i dati ci dicono che questa quota resta al di sotto del 50% in un numero significativo di stati. Inoltre, solo pochi paesi, diciotto su trentuno, sono in grado di fornire dati sui test effettuati tra gli MSM; meno della metà hanno dati su altre popolazioni chiave e solo uno, la Grecia, riporta i dati sui test effettuati tra i migranti irregolari.

Proprio per quanto riguarda le popolazioni chiave, quasi la metà dei paesi in esame,  segnala  gravi lacune nei servizi per i migranti non regolari, e circa uno su quattro segnala le lacune principali nei servizi rivolti a migranti che giungono da paesi ad alta prevalenza, MSM, e sex workers. 

La criminalizzazione, la paura di conoscere il proprio stato, una bassa percezione del rischio o la negazione del comportamento a rischio, la stigmatizzazione e la discriminazione delle popolazioni chiave, anche nelle strutture sanitarie, sono altri importanti cause della basa diffusione del test e delle diagnosi tardive, in particolare tra MSM e IDU. 

Solo pochi paesi autorizzano o implementano approcci alternativi di offerta del test per HIV, in grado di incoraggiare diagnosi tempestive tra le persone che sono più esposte al rischio. I servizi community-based forniti da personale non medico, ma adeguatamente formato, possono incrementare la disponibilità di luoghi a cui rivolgersi, assicurare una maggiore accessibilità e incoraggiare al test quanti siano più a rischio di aver contratto l’Hiv e/o  di aver contratto infezioni non diagnosticate.  Recentemente sono state introdotte altre modalità di effettuazione dle test , tra cui l'home testing e il self testing -o autotest-  quest'ultimo disponibile in Italia già dal dicembre scorso. 

HIV treatment and care.

Nel complesso, i trattamenti iniziano prima e più persone accedono ai trattamenti con una percentuale in costante aumento ma una persona su sei nell’UE/SEE, pur avendo ricevuto una diagnosi, ancora non ha accesso ai trattamenti.   Il numero di paesi dell’area, in cui i trattamenti vengono erogati ed iniziati a prescindere dal numero di cellule CD4 è passato dai quattro del 2014 ( tra questi già figurava il nostro paese),  ai 24 del 2016. Questa politica ha portato ad un aumento del numero di persone in terapia antiretrovirale (ART). Tuttavia, i dati giunti da venticinque stati segnalano che il 17% delle persone con HIV, appunto una su sei, pur avendo ricevuto la diagnosi, non è ancora in ART. All’origine ci sono normative che prevedono obsolete soglie di trattamento, barriere politiche o sociali, scarse risorse a disposizione dei sistemi sanitari, fattori sociali e culturali.  I migranti non regolarmente residenti presentano particolari difficoltà nell'accesso ai trattamenti anti-HIV e addirittura metà dei paesi UE / SEE non prevede la disponibilità di cure per questa popolazione.  L’Italia non prevede questo tipo di limitazione.

La situazione appare ancora più critica se si fa riferimento a tutte le persone che si stima vivano con l’HIV: la percentuale dei pazienti in trattamento scende, in questo caso, al 69%. Questo vuol dire che almeno una persona HIVpositiva su tre non sta ricevendo una cura. Questa proporzione varia da paese a paese oscillando tra il 25% fino a oltre l’85%

Tra le persone in trattamento, quasi nove su dieci (l’89%) hanno conseguito la soppressione della carica virale (dati relativi a 20 paesi).  Si tratta di una quota apparentemente alta e ormai prossima agli obiettivi prescritti da UNAIDS (soppressione della carica virale nel 90% delle persone con HIV in cura entro il 2020). Queste percentuali tuttavia, presentano forti difformità da paese a paese, con una forbice tra il 51% e il 95%. Ci sono dunque ancora troppi stati ben lontani da questi obiettivi. L’Italia è sotto, anche se di poco, alla media Europea e tra i venti paesi in esame risulta tredicesima. 

La percentuale di persone in trattamento con carica virale soppressa, rispetto al totale delle persone che si stima vivano con l’Hiv, è ancora più bassa: circa il 63% secondo gli ultimissimi dati 2016; anche in questo caso le percentuali variano considerevolmente da paese a paese con una forbice tra il 3% e l'82%. Al momento solo tre paesi (Danimarca, Svezia e Regno Unito), sono in linea con il target indicato da Unaids (73% di tutte le PLHIV, dunque non solo quelle ora in trattamento, con soppressione virale entro il 2020).  Ad ogni modo altri cinque paesi hanno una percentuale di soppressioni superiore al 66% e sono in grado di raggiungere gli obiettivi Unaids entro il 2020 (Olanda, Francia, Belgio, Germania e Spagna).  L’Italia è collocata invece nella fascia 50%-60% e quindi in ritardo rispetto agli obiettivi Unaids. 

La spesa complessiva per i trattamenti è in aumento facendone prevedere una difficile sostenibilità per alcuni paesi. L’aumento dei costi, dovuto al crescente numero di persone in terapia, il fatto che le persone con HIV vivano più a lungo, e il costo più elevato di alcuni farmaci di secondo livello, stanno mettendo sotto pressione le risorse limitate di molti sistemi sanitari. Saranno in particolar modo i paesi Ue che dipendono dalle sovvenzioni del Fondo Globale a dover affrontare in futuro grandi sfide per assicurare una copertura adeguata delle loro politiche nazionali. 

Priorità d’azione

Per ridurre il numero di nuove infezioni in Europa, occorre rafforzare la prevenzione, ampliare l’accesso al test HIV, rendere più facile l’accesso ai trattamenti.

Prevenzione. La prevenzione deve essere prioritaria nell'UE / SEE se si vogliiono ridurre il numero di nuovi casi di HIV e il conseguente impatto sugli individui e sui bilanci sanitari. Due paesi su tre, e tra questi l’Italia, indicano che i fondi disponibili per la prevenzione sono insufficienti per ridurre il numero di nuove infezioni da HIV.  Bisogna fare di più per migliorare l’erogazione e la fruizione di interventi basati sulle evidenze scientifiche e garantire che i programmi di prevenzione attuino una combinazione di interventi per massimizzarne l'impatto. Le aree specifiche d’intervento devono includere:

  • Il miglioramento e l’efficacia di programmi di prevenzione per MSM, prendendo in considerazione l’erogazione della PrEP, laddove questa profilassi possa avere un impatto significativo sulla riduzione delle nuove infezioni tra gli MSM più a rischio.
  • L’aumento e il sostegno dei programmi di prevenzione dell'HIV, inclusi gli interventi di distribuzione di siringhe e altri materiali da iniezione (NSP) e i trattamenti con farmaci sostitutivi (OST) per le persone che si iniettano droga nei paesi UE / SEE, dove la copertura è attualmente bassa ed esiste un rischio di focolai di HIV.
  • Il rafforzamento dei programmi mirati di prevenzione dell'HIV per i migranti provenienti da paesi ad alta prevalenza di casi di HIV.

Test. È urgente aumentare nell’UE/SEE, l'accesso al test HIV tra le popolazioni chiave, in particolare tra quelle che sono più a rischio o più difficilmente raggiungibili all'interno di queste popolazioni, al fine di ridurre la proporzione di persone che vivono con l'HIV senza conoscere il loro stato sierologico e/o che ricevono diagnosi tardive. I relativi specifici interventi devono prevedere:

  • Politiche nazionali di test sull'HIV che includano approcci innovativi al test - da quelli community-based, a quelli che ne prevedono l'esecuzione a casa- e che assegnino risorse adeguate per sostenerne l'implementazione e la disponibilità.
  • La riduzione delle mancate opportunità di diagnosi nei servizi sanitari, in particolare nell’assistenza primaria e in altri ambiti clinici.
  • Lo sviluppo degli approcci più efficaci per individuare e raggiungere le persone che non abbiano effettuato il test e siano difficili da raggiungere (popolazioni chiave).

Trattamento. Occorre migliorare l'accesso, l'assunzione e la sostenibilità dei programmi di trattamento. Molte persone che vivono con l'HIV nell'UE non ricevono la ART. Il trattamento trasforma l'HIV da una malattia minacciosa per la vita in una condizione cronica gestibile, svolgendo anche un ruolo importante nel prevenire la tramissione dell'HIV. Le aree specifiche d'azione includono:

  • L’adozione della politica “test and treat” in tutti i paesi dell'UE / SEE, come prescritto dalla European AIDS Clinical Society e dalle linee guida dell'OMS.
  • La riduzione delle barriere che ostacolano l'accesso ai trattamenti e la loro adeguata copertura, la riduzione della scarsa integrazione esistente tra i servizi sanitari, di assistenza e di supporto, la riduzione dello stigma e delle discriminazioni tra le popolazioni chiave e tra gli operatori sanitari.
  • L’individuazione di ogni opportunità volta a ridurre i costi dei trattamenti antiretrovirali, così da garantire che tutti i paesi UE / SEE possano continuare a sostenere, a medio e a lungo termine, i costi delle cure per tutte le persone che vivono con l'HIV.

Le barriere politiche e legali, così come lo stigma e la discriminazione contribuiscono a limitare la fornitura e la fruizione dei servizi per la prevenzione dell’HIV tra le popolazioni chiave. L’intervento di prevenzione su cui gravano più ostacoli politico-legislativi è la riduzione del danno, in particolare la distribuzione di siringhe nelle carceri. Almeno il 50% dei paesi UE/SEE riferisce di avere leggi o politiche che impediscono o limitano questo tipo di attività. Più in generale, il 25% dei paesi in esame ha in vigore leggi che criminalizzano l’esposizione all’HIV e questa è riportata come un’altra potenziale barriera all'utilizzo dei servizi di prevenzione. Almeno il 75% dei paesi UE/SEE riferisce che lo stigma e le discriminazioni verso le comunità MSM frenano il miglioramento dell’accesso ai servizi. Sorprendentemente, il 60% degli stessi paesi riferisce anche di stigma e discriminazioni da parte dei professionisti/e del sistema sanitario, identificando in questo un ostacolo rilevante per la fornitura di adeguati servizi di prevenzione a MSM e consumatori di sostanze per via iniettiva. Per concludere: molto rimane ancora da fare per raggiungere gli ambziosi obiettivi stabiliti da UNAIDS. 

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