Carica virale HIV non rilevabile e allattamento al seno. Gli esiti di due ricerche britanniche.

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allattamentoIl tema dell’allattamento da parte delle madri HIV + con carica virale non rilevabile, resta tra i più dibattuti ma anche tra i meno investigati, in parte per la scarsa consistenza delle corti di studio disponibili, in parte per le resistenze culturali che ancora ostacolano una ricerca scientifica di genere, fattore questo che influenza l’impostazione dei sistemi di sorveglianza e, dunque, la qualità dei dati raccolti.

Tra i paesi che stanno dedicando più attenzione al tema c’è sicuramente la Gran Bretagna, dove un sistema di sorveglianza nazionale sull’allattamento al seno è stato attivato già dal 2012 e ulteriormente rafforzato nel 2018. Questa impostazione del sistema di raccolta dati britannico non ha tardato a fornire delle prime interessanti indicazioni. Lo scorso aprile a Bournemouth, nel corso della 25esima conferenza della BHIVA, la British HIV Association, organismo consultivo nazionale sull’HIV/AIDS che, tra l’altro, sostiene il principio U=U (Non rilevabile=Non trasmissibile), sono stati presentati due studi significativi. Il primo, “BHIVA guidelines and breastfeeding in the UK- the current picture”, condotto da un gruppo di ricercatrici dell’UCL GOS Institute of Child Health di Londra, ha fornito un quadro dell’allattamento al seno in Gran Bretagna, alla luce delle linee guida applicate da BHIVA.

Nel Regno Unito l’attuale tasso di trasmissione dell'HIV da madre a figlio è inferiore allo 0,3%; Per quanto riguarda l’allattamento, le linee guida BHIVA continuano a raccomandare a tutte le madri con HIV di nutrire i loro bambini con latte artificiale. Le stesse linee guida raccomandano, però, anche un pieno supporto informativo e clinico alle donne che decidano di allattare al seno i propri bambini o le proprie bambine, avendo una carica virale non rilevabile e un’aderenza terapeutica ottimale, così da minimizzare i, pur bassi, rischi esistenti. Le pratiche indicate per un allattamento al seno più sicuro da parte di madri con carica virale non rilevabile, sono:

Tra il 2012 e il 2019 il sistema di sorveglianza nazionale NSHPC ha registrato la nascita di 7187 bambini nati da madri con HIV. L’età media al momento del parto è di trentacinque anni, più alta dei trentuno della media generale. Le donne che sono state seguite per l’allattamento al seno sono state centotrentacinque, tra loro il 93% ha ricevuto la diagnosi di HIV prima della gravidanza e il 18% ha allattato più di un bambino o bambina. Come si diceva, dal 2018 è stata adottata per le donne con HIV che allattano al seno una sorveglianza rafforzata che prevede approfonditi colloqui telefonici o vis-a-vis, volti a comprendere i motivi per cui si desidera allattare al seno, l’eventuale terapia ART seguita, se il partner e i familiari siano a conoscenza dello stato HIV della donna, la durata dell’allattamento, l’esito dei vari test su madre e bambini/e, compresi quelli infantili sugli anticorpi. Il 90% delle donne contattate, al momento della rilevazione, aveva già cessato l’allattamento.

Dai risultati del monitoraggio è emerso che in undici casi su centodue il partner non era a conoscenza dello stato sierologico della madre. Le ragioni principali per allattare al seno sono risultate essere: il legame che si crea con il neonato o la neonata per il 40% della corte, i benefici per la salute dei piccoli (35%) ma anche le pressioni familiari (13%) e le preoccupazioni per i costi dell’allattamento artificiale (3%). La durata media dell’allattamento è risultata essere di sette settimane. In trentasei casi la cessazione è stata pianificata, in altri tredici, invece, l’interruzione è stata causata da rimbalzi della carica virale (quattro casi), da mastite o mancato attaccamento da parte del neonato.

Nel contesto dell’allattamento supportato non ci sono stati casi di trasmissione da madre a figlio ma i dati di follow-up sono ancora in fase di raccolta. Per quanto riguarda i neonati/e il 58% è già stato sottoposto ai test anticorpali che hanno dato tutti esito negativo, un 28% è ancora in fase di follow-up e il 6% è perso al follow-up. Due dei bambini, la cui madre aveva evidenziato una ripresa della carica virale, sono risultati negativi ai test anticorpali, gli altri due sono in attesa di test.

Le studiose segnalano come i numeri siano ancora troppo esigui per trarre conclusioni certe ma il quadro attuale segnala comunque la necessità di proseguire nel monitoraggio e nell’aggiornamento delle linee guida, questo anche alla luce delle novità dell’era U=U che sta portando ad una graduale normalizzazione dell’esperienza della maternità tra le donne con HIV. Prioritaria, inoltre, sempre secondo le conclusioni dello studio, la consapevolezza delle donne che devono essere informate su tutti i risvolti delle linee guida e sul cosiddetto “Triangolo della sicurezza”, ossia: allattamento al seno solo con carica virale non rilevabile, solo con un seno in salute e solo con un intestino che non presenti infezioni o irritazioni sia nella madre che nel bambino/a.

Una seconda ricerca presentata alla conferenza di Bournemouth era volta ad investigare il vissuto delle donne con HIV in età fertile nei confronti dell’allattamento al seno. Si tratta del “Pacific Study”, guidato da Faray Nyatsanza, dell’Imperial College Healthcare NHS Trust, condotto su novantaquattro donne con HIV che erano nell’ultimo trimestre di gravidanza o che avevano appena partorito, tramite questionari volontari distribuiti nei centri di cura. Tra loro il 92% aveva carica virale non rilevabile. Quasi il 90% si è dichiarata disponibile ad effettuare test mensili della carica virale pur di allattare il proprio bambino/a e l’84% si è dichiarata disponibile a sottoporre ai test anche il neonato/a. Quasi il 40% delle intervistate ha esplicitamente dichiarato il proprio desiderio di allattare, tuttavia, solo il 27%, meno di un terzo delle intervistate, ritiene sicuro l’allattamento al seno in condizioni di non rilevabilità della carica virale. L’indagine ha anche evidenziato il persistere di pressioni sociali sulle donne rispetto a queste scelte: tra le intervistate ben due su tre hanno dichiarato di aver mentito sul motivo del mancato allattamento al seno e il 62% ha dichiarato di aver subito domande invasive in merito da parte di membri della famiglia o della comunità. Nelle loro conclusioni i ricercatori evidenziano come lo stigma, e la conseguente segretezza, costituiscano ancora un ostacolo per le donne con HIV in gravidanza e suggeriscono la necessità di una maggiore informazione e di un maggior supporto da parte degli operatori sanitari per le donne che scelgono o desiderano l’allattamento al seno.

Anche in Italia le linee guida continuano a raccomandare alle donne con HIV, anche se con carica virale non rilevabile, l’allattamento artificiale e, generalmente, l’allattamento al seno viene scoraggiato. Ancora poco conosciuti e studiati risultano essere, inoltre, tutti i risvolti emotivi e psicologici del mancato allattamento. Per incoraggiare un diverso approccio al tema della maternità in HIV ed un maggior coinvolgimento delle donne negli aspetti della vita che le riguardano più da vicino la LILA, Nadir ONLUS e un gruppo di studio della SIGO, la Società Italiana di Ostetricia e Ginecologia stanno promuovendo un questionario sulla maternità rivolto alle donne con HIV che stiano per aver o che abbiano avuto figli. Il questionario è volto proprio ad esplorare il vissuto, i timori, le esigenze delle donne con HIV che scelgono di diventare madri, gli ostacoli che ancora possono provenire dai loro contesti culturali e relazionali. Per questo consideriamo prezioso l’apporto e il contributo delle donne che abbiamo avuto questa esperienza nella vita. A tutte loro chiediamo di darci una mano. 

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